Da alcuni decenni è evidente la significativa influenza che le pratiche basate sulla consapevolezza e sull’accettazione hanno avuto sullo sviluppo delle terapie cognitivo-comportamentali. In questo testo si fa riferimento al rapporto fra la psicologia in ambito congnitivista e l’approccio alle pratiche di meditazione di origine buddhista, chiamate mindfulness nel mondo anglosassone. Il termine “Mindfulness” è stato usato come sinonimo di una varietà di pratiche, ampiamente derivate dal corpus dottrinale e esperienziale di matrice buddhista.
Il termine originario significa consapevolezza (sati, in lingua Pali), e può essere definito come attenzione focalizzata sul momento presente, accettazione consapevole e memoria della propria intenzione. Pur basandosi su qualità umane naturali, la mindfulness comporta anche l’accesso a una modalità di prestare attenzione che è diversa da quella che tipicamente le persone prestano durante il normale flusso della vita quotidiana. Si tratta del metodo insegnato dalla tradizione per entrare in contatto in modo diretto con la propria mente. Essa implica il coltivare e l’accedere a una modalità intenzionale dell’esistenza.
Il termine inglese è entrato nel linguaggio psicologico occidentale in maniera prominente dopo che il dott. Jon Kabat-Zinn ha promosso per primo questo orientamento, introducendo fin dagli anni ‘80 queste pratiche negli ospedali, ma anche nelle carceri e in altri ambienti. La sua figura è assai nota, ha lavorato al MIT con diversi premi Nobel, è una persona accreditata che ha autorevolmente promosso un confronto fra la psicologia occidentale e le tradizioni orientali.
Venendo al tema principale del libro, l’opera di tre illustri scienziati cognitivisti che hanno seguito per anni il lavoro di Kabat-Zinn, affronta il tema della depressione di origine ansiosa, che è oggi una delle sindromi più comuni. Ora, nell’ambito delle prospettive attuali del cognitivismo, influenzate dal movimento della mindfulness, si inizia a ritenere che una delle cause della depressione ansiosa sia il pensiero automatico, ovvero il pensiero ripetitivo e di tipo ansioso. Un’utile pratica terapeutica appare essere quella di distanziarsi da questo tipo di pensieri, nel senso di osservarli come eventi creati dalla mente, anziché come eventi causati dalla realtà. Questo tema è di grande importanza, perché oggi la depressione ansiosa è una delle sindromi più diffuse. Comprendere che all’interno della depressione ansiosa, e soprattutto del suo mantenimento, vi siano i pensieri automatici, e comprendere che la pratica della mindfulness agisce esattamente sui pensieri automatici, riducendoli, è una porta di ingresso a nuove possibilità insperate.
Secondo il cognitivismo classico (ad esempio, T. Beck e A. Ellis), la depressione è causata da convinzioni disfunzionali, per cui l’obiettivo era stato individuato nel cambiamento di queste convinzioni dannose. Oggi, grazie all’ibridazione con le pratiche meditative, ci si rende conto che non è tanto importante cambiare le nostre convinzioni, (queste possono anche essere mantenute), ma l’importante è che non si dia loro eccessivo valore, che le riconosciamo cioè come eventi generati dal nostro pensiero, anziché cadere nell’inganno che siano fenomeni collegati alla realtà. L’idea forte è che il centro della salute mentale è la capacità di disidentificazione: il cambiamento non riguarda tanto le parti interne (pensieri e emozioni), ma piuttosto il rapporto che la nostra capacità razionale e di governo ha con i nostri pensieri e con le nostre emozioni. In questo senso l’adulto che è dentro di noi assume il ruolo principale.
Il ripetuto movimento di distanziamento, attraverso la consapevolezza non discorsiva, da ciò che crediamo reale è il fondamento della cura (pag. 40).
Per comprendere cosa sia la consapevolezza non discorsiva ci riferiamo a un autore, Corrado Pensa, insegnante di meditazione fra i più conosciuti in Italia. Egli afferma che tutti noi siamo soggetti a una fascinazione indiscriminata per l’attività mentale, per il pensiero. Ci sentiamo a posto solo quando la mente pensa molto, non importa cosa, non importa come; è il cosiddetto discorrere mentale. In secondo luogo, ci aspettiamo che la soluzione di tutto venga dal pensare, dal leggere e dal parlare. E’ una specie di fede cieca, di abbandono a un presunto potere magico del pensare e ripensare, una cognizione compulsiva o proliferazione mentale, che si accompagna a forme giudicanti e successive reazioni emozionali di avvicinamento (attaccamento) e di allontanamento (avversione). Siamo davanti a uno dei legami più forti e radicati: l’attaccamento alla concettualizzazione e alla verbalizzazione, la dipendenza dall’incessante discorrere mentale, con l’importante conseguenza di una diffidenza per tutto ciò che esula dalla discorsività. Una delle nostre fondamentali ossessioni è il pensiero discorsivo, mentre la capacità di rapportarsi alla realtà mediante facoltà diverse dai concetti, è considerata appannaggio di bambini e animali.
In realtà, la capacità di investire gli oggetti della consapevolezza di una osservazione silenziosa, benevola e non giudicante, è presente in chiunque e può essere alimentata, malgrado non sia fatto quasi mai.
La pratica assidua della pura consapevolezza (mindfulness, sati) vuole coltivare importanti qualità dell’umana natura. Innanzitutto, la benevolenza incondizionata (metta), che consiste in una relazione amichevole verso se stessi e verso gli altri, in un rapporto non difensivo, non diffidente, verso tutta la realtà. Ciò ha immediate conseguenze etiche, ma tale approccio comportamentale può maturare spontaneamente, senza la forzatura di imperativi morali che si infrangono contro la resistenza delle strutture egoiche del pensiero.
È molto probabile che la qualità dell’attenzione fosse un aspetto integrante della coltivazione di un pensiero razionale, di una prospettiva equilibrata, saggezza e compassione tipici dello stile socratico e della civiltà greca antica. Nel corso del tempo e attraverso le culture, queste note inerenti diversi orientamenti, introducono aspetti, che potrebbero essere approfonditi, della comune identità umana.
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