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Teorie dell’apprendimento collaborativo

Allo scopo di tracciare brevemente una cornice di riferimento teorica, saranno prese in esame quattro correnti, una psicosociale, l’altra socio-cognitiva, la socio-culturale e la contestualista.

Il primo orientamento concettuale si riferisce alla teoria dell’apprendimento sociale (Bandura, 1974), all’interno dell’approccio socio-culturale alla psicologia dell’educazione. Secondo tale modello, la maggior parte della condotta umana è originata indirettamente, dall’osservazione, e in seguito dall’imitazione (modellamento) delle azioni compiute da un altro soggetto. La sua efficacia dipende, secondo Bandura, da alcuni aspetti: l’attenzione, il rinforzo, la conservazione in memoria dell’evento, la capacità di esecuzione motoria. In situazioni di piccolo gruppo, è probabile che un individuo che si mostri in grado di fornire prestazioni nuove, o di complessità superiore, sia imitato da chi al momento è capace di prestazioni inferiori.

Ciò è rilevato anche nell’ambito degli studi sulle situazioni di condivisione di interessi e di competenze specifiche, in cui i partecipanti interagiscono progressivamente, affidandosi e identificandosi nelle relazioni di gruppo; inoltre, viene riconosciuto un ruolo all’imitazione graduale (partecipazione periferica legittimata) dove, dopo un intervallo di tempo nel quale si osserva il lavoro degli esperti, il novizio procede verso un’adesione alle pratiche centrali della comunità.

Una seconda corrente di pensiero fa capo a uno dei maggiori teorici dell’educazione, Jean Piaget (1952). Tra gli innumerevoli contributi prodotti a seguito del suo lavoro, evidenziamo i meccanismi che sono alla base dell’apprendimento collaborativo, caratterizzato da una motivazione collettiva basata su identità condivisa e costruzione di senso, nello svolgimento di un compito. L’evoluzione cognitiva, secondo Piaget, si svolge in conformità a progressive ristrutturazioni di schemi cognitivi di approccio all’esperienza, favorendo un graduale decentramento rispetto alla posizione in cui il punto di vista è esclusivo (egocentrismo), cercando poi nei dati esterni le conferme a tali convincimenti, e applicando gli schemi mentali alla realtà (assimilazione). Di tanto in tanto, tali schemi si mostrano in chiaro conflitto con il mondo, dando origine a situazioni di tensione e di crisi cognitive, sia a livello individuale, sia sociale, che possono sfociare in una ristrutturazione degli stessi schemi (accomodamento). Sempre nell’ambito della prospettiva cognitiva, anche la teoria della dissonanza cognitiva di Festinger sostiene il ruolo fondamentale, nelle fasi dell’apprendimento, della crisi nelle coordinazioni cognitive, evidenziando i processi dinamici, di squilibrio e revisione, che avvengono in momenti di discrepanza di senso o di dissidio nelle interazioni sociali.

In questi approcci, si evidenzia il ruolo dell’interazione tra posizioni differenti, che possono spingere a sviluppare la capacità di negoziazione tra punti di vista, e in seguito di una loro revisione. Il punto di vista soggettivo non potrà essere l’unico, e il rapporto sociale potrà evidenziare un conflitto, dovuto alla difficoltà ad abbandonare la sicurezza delle posizioni iniziali. Va rilevato inoltre che non è sempre necessario che avvengano ristrutturazioni rilevanti di pensiero. Infatti, gran parte degli apprendimenti si compongono di riflessioni, integrazioni, aggiustamenti e modificazioni parziali, in conformità a credenze culturali e conoscenze precedenti.

A tutto ciò va aggiunto che, per caratterizzare cognitivamente la capacità di apprendimento, la motivazione ad acquisire strumenti utili e a porsi attivamente di fronte ai problemi, assumendosi la responsabilità delle decisioni, si deve far ricorso agli importanti concetti di auto-attribuzione e auto-efficacia (Bandura, 1974). Attribuire le cause di un fallimento a motivazioni interne e non permanenti, ma  modificabili, contribuisce ad innalzare le capacità di perseverare, riducendo stress e vulnerabilità psicologiche. La percezione dell’efficacia personale è naturalmente influenzata sia dalle esperienze personali, sia dalle relazioni sociali, e può essere coltivata nel confronto con persone che si considerano simili a sé e che riescono a raggiungere buoni risultati, oppure verificando l’adeguatezza dei propri mezzi rispetto ai criteri imposti dalla situazione.

A questo proposito, dall’opera di Lev Vygotskij (1974) è possibile estrarre un contributo sulla comprensione degli aspetti socioculturali dell’apprendimento, visto come un processo d’internalizzazione, della storicità delle funzioni psichiche e del linguaggio, per giungere poi ai processi individuali e del pensiero. Secondo lo psicologo sovietico, concetti e nozioni, oggetto di dialogo, sono progressivamente integrati nelle strutture cognitive dell’individuo attraverso la riflessività e il monologo interno. Al contempo, tali meccanismi possono anche essere reinterpretati, nel senso che il soggetto meno esperto se ne appropria, ripresentando in seguito una diversa interpretazione, che arricchisce il gruppo sociale nel suo complesso.

In tempi più recenti, il filone contestualista e della cognizione situata e condivisa ha posto l’enfasi sull’ambiente sociale e fisico dell’apprendimento, più che sui contributi individuali, per cui i processi cognitivi connessi vanno considerati includendo il contesto in cui si generano. Lo scenario è parte integrante del processo di apprendimento “in situazione”, creativo e, allo stesso tempo, rappresentato socialmente. In tale prospettiva, il costrutto di gruppo è essenziale, e l’apprendimento avviene principalmente in relazione, grazie a forme di negoziazione sociale, e non attraverso la trasmissione di pratiche cristallizzate nel tempo e poco interconnesse. Gli ambienti dovrebbero fornire differenti rappresentazioni della realtà, restituendo la naturale complessità del mondo, in un processo di costruzione attiva della conoscenza. L’apprendimento collaborativo è considerato un processo di costruzione di una rappresentazione comune, in un clima sociale ed emozionale condiviso, in cui si alimentano azioni auto-riflessive, prendendo stimolo da casi e da problemi concreti (meta-apprendimento) e contestualizzati (apprendimento come processo situato).

Soprattutto in ambito lavorativo, l’attività di auto-regolazione, che comprende le strategie di attenzione, pianificazione, auto-monitoraggio, auto-valutazione e auto-rinforzo, è un elemento fondamentale del “saper apprendere” (De Vita, 2007), che consiste nel mettere ordine nell’enorme quantità di informazioni disponibili ogni momento, ponendosi obiettivi più definiti e aggiungendo elementi di valutazione. Le persone possono tendere a imparare il modo in cui imparano, possono vedere le connessioni in contesti apparentemente scollegati e sanno porre in opera alcune condizioni che permettono di imparare meglio (apprendimento intenzionale).

Infine, interessanti spunti si possono trovare anche nella visione della cognizione distribuita (Jézégou, 2013), in cui l’intelligenza non è vista una proprietà dell’individuo, ma si può collocare anche nel mondo, dove si ritiene si formino i saperi e le memorie condivise, in modalità complesse e variegate.

Il rapido sviluppo in corso nell’ambito del social networking mostra le notevoli possibilità offerte da tale ambiente per lo studio e il lavoro in un clima di operatività e in un contesto aperto e informale, centrato su autentiche esigenze conoscitive ed espressive (Petti, 2011). I relativi strumenti e applicazioni si caratterizzano in modo flessibile, dal punto di vista degli utenti, cercando di porsi in contiguità con gli interessi e le esigenze personali, e suggerendo modalità nuove di costruzione della conoscenza condivisa.

L’instaurarsi di reti comunicative e relazionali è un elemento cruciale per l’apprendimento. A tal proposito, Siemens (2004) propone il concetto di connettivismo, per indicare una nuova modalità di apprendere, tipica dell’era digitale, in cui la rete stessa dà forma ai processi di apprendimento. Questa prospettiva teorica originale pone l’attenzione sulle connessioni costruite gradualmente, che rendono possibile e fruibile l’accesso alla conoscenza, e sull’abilità a riconoscere connessioni in ambiti diversi, al fine di mantenere una conoscenza accurata e aggiornata. Riguardo alle attività di gestione dei processi di conoscenza, il paradigma del connettivismo, che si pone come un’integrazione dei principi esplorati dalle teorie del caos e della complessità, dall’auto-organizzazione e dalle topologie di rete, può sostenere le nuove sfide nell’ambito aziendale e delle organizzazioni. La conoscenza che risiede in una base di dati richiede di essere connessa con le persone e le entità giuste nell’intreccio opportuno, al fine di trasformarsi in apprendimento. Da questo punto di vista, la capacità di collegarsi a fonti informative e reti sociali attraverso le tecnologie digitali è ritenuta più importante della conoscenza che può essere acquisita personalmente. Apprendere significa in definitiva essere connessi, mentre il cognitivismo e il costruttivismo, presupponendo elevate capacità di autonomia decisionale del discente, non vengono ritenuti in grado di dare il necessario supporto teorico alle sfide riguardanti l’organizzazione e il trasferimento della conoscenza in ambito professionale e lavorativo (Siemens, 2004).

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Formazione Recensioni

La forza della motivazione

Osserviamo l’etimologia del termine motivazione:  dal latino “moveo”,  verbo che significa “muovere verso”. La motivazione possiamo considerarla un insieme di forze costituita da: passione per ciò che si fa, idee allineate con i propri valori, pensieri con chiara vision futura di ciò che piace realizzare (l’abilità d’immaginare vividamente la nostra vita con l’idea/sogno realizzato, ascoltare come ci sentiamo una volta traguardata la meta). Mantenere costantemente il focus su cosa può darci la realizzazione dell’idea e attuare comportamenti tali che generano l’energia necessaria per camminare verso l’attuazione.

Bisogna essere motivati per avere possibilità di successo.

Senza motivazione non si raggiunge alcun obiettivo!

Immaginate ora un fiume in piena che scorre rapidi pendii dalla montagna, l’energia dell’acqua che scende a valle è travolgente e possiamo associarla alla motivazione come concetto, si, un fiume in piena! La motivazione ha la forza di travolgere, vive nel nostro io più intimo e profondo, è nutrita dall’autostima che abbiamo, persevera se il livello di sicurezza e di controllo che abbiamo sul contesto è alto (solitamente determinato dalla competenza). La motivazione cresce se ciò che facciamo lo riteniamo utile per noi e soprattutto per gli altri.

Che impatto ha il contesto in cui si vive e si lavora sulla nostra motivazione?

Osserviamo e attuiamo CINQUE passi fondamentali:

Envisioning: la capacità di creare una visione chiara, mentalmente nitida, osservabile da più angolazioni (punti di vista) e che dia sempre lo stesso risultato desiderato. Costruire mentalmente prima e poi ben fissare e dettagliare su plan le linee guida per raggiungere gli obiettivi.

Education: ricercare la propria e altrui competenza necessaria allo scopo. Creare, se necessario, quelle occasioni di formazione e di confronto continui per il proprio e altrui sviluppo personale e professionale.

Evaluation: apprendere è fondamentale, così come lo è la consapevolezza di avere o meno uno standard di adeguata capacità e valore per fare accadere le cose. Saper di poter fare accadere le cose diventa uno dei fattori più motivanti.
Tant’è che ricerche di mercato sui “sistemi premianti” attuati sulla meritocrazia (capacità del fare) dimostrano che sono estremamente motivanti.

Empowerment: il processo di crescita,  dell’individuo e del gruppo, basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale. Lo sviluppo della personalità, delle potenzialità delle risorse è elemento chiave per la massima espressione della motivazione di una persona.

Empathy: la capacità di vedere e sentire con gli occhi e le orecchie dell’altro o del contesto. Diventa l’altro se vuoi sentire il suo cuore battere e le emozioni scorrere nelle vene, diventa l’albero se vuoi assaporare la brezza tra le foglie, diventa tigre se vuoi comprendere il ruggito, diventa un orologio se vuoi percepire la dimensione del tempo. La capacità di relazionarsi, ascoltando prima, includendo lo stato d’animo ed emotivo,  può portare alla realizzazione crescente del coinvolgimento e quindi della motivazione.

Le dinamiche relazionali hanno ruolo centrale sulla motivazione.

Questi cinque elementi miscelati, amalgamati, in giusta misura, direi anche con armonia su di se o in una organizzazione, portano alla crescita notevole e duratura della motivazione.

Far mancare anche uno solo di questi fattori costringe ad accedere alla propria resilienza, se questa è forte ci sono possibilità che la motivazione perseveri. Diversamente la propria autostima, la capacità di motivarsi inizia a scendere fino al punto che si supera quella soglia tale che porta all’abbandono dell’obiettivo da raggiungere e la decisione di perseguire una strada differente.

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Cultura digitale Formazione

La tecnologia digitale nei processi di apprendimento

Molti differenti tipi di tecnologie sono sstati usati negli ambienti educativi: pagine stampate, gesso e lavagna, proiettori a muro, diapositive, proiezioni video. Insieme ad altri dispositivi, continuano a far parte dei processi di insegnamento e di apprendimento. L’uso di tecnologie tradizionali spesso limita le attività a un tempo e uno spazio delimitati. La nascita di nuove forme di tecnologia ha creato un rinnovato interesse per l’uso di supporti all’insegnamento. A causa della loro prevalenza nella società, l’introduzione di nuove tecnologie è opportuna. Molte tecnologie sono largamente usate in quasi tutti i posti di lavoro e ci si aspetta che gli studenti abbiano avuto familiarità con esse già durante gli studi.
Le scuole sono aperte alle innovazioni tecnologiche, così che vecchio e nuovo devono coesistere. Questa coesistenza crea tensioni, e influenzerà l’educazione del XXI secolo. Possiamo porci queste domande: Quale tipo di tecnologie tradizionali avete usato nella vostra scuola?
Internet ha rivoluzionato il mondo delle comunicazioni come mai prima. L’invenzione del telegrafo, telefono, radio e computer hanno segnato i passi per questa nuova integrazione di funzionalità. Molte delle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT) sono prodotti delle tecnologie informatiche e di rete. I computer sono comunque stati preceduti da antiche tecnologie, come l’abaco e i dispositivi computazionali meccanici della rivoluzione industriale.
Uno dei primi calcolatori, ENIAC, fu usato come arma militare; questa macchina aveva capacità inferiori a quelle di una calcolatrice tascabile. Il primo computer totalmente digitale, lo Z1, fu creato nel 1938 da Konrad Zuse, sette anni prima che fosse creato un linguaggio di programmazione. Lo Z3 fu il primo computer con un programma operativo, fu costruito nel 1941, durante la seconda guerra mondiale. Erano macchine primitive, anche se costavano centinaia di migliaia di dollari.
Le reti di telecomunicazione crearono le basi per Internet e il World Wide Web, quindi possiamo far risalire i loro inizi agli anni ’60. Il primo messaggio in rete fu mandato sulla rete ARPANET dal computer del professore di scienze Leonard Kleinrock, nel laboratorio dell’Università della California (UCLA), Los Angeles. Le reti a commutazione a pacchetto, come ARPANET, Mark I, in UK, Tymnet, Telenet, furono sviluppate tra la fine degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70, usando una varietà di protocolli. Negli anni ’80, Il lavoro di sir Tim Berners-Lee nel Regno Unito, sul World Wide Web, teorizzò il fatto che i linguaggi/protocolli possono collegare ogni documento/ ipertesto in sistemi di lavoro.
Internet ha avuto un impatto rivoluzionario sulla cultura, sul commercio, includendo la nascita di comunicazioni in tempo quasi-reale, come la posta elettronica, la messaggeria istantanea, le chiamate su protocollo Internet (VoIP), le video-chiamate a due vie, i forum di discussione, i social network, i siti di commercio on-line.
Le tecnologie ICT sono sempre più utilizzate e integrate nei processi educativi. L’affermarsi di queste tecnologie nelle attività di insegnamento e di apprendimento ha sollevato importanti questioni. Ad esempio:
Le nuove tecnologie stanno cambiando le classi scolastiche? Stanno mutando le tecniche e le strategie di insegnamento? Le caratteristiche degli studenti sono state modificate?
Le nuove tecnologie hanno portato cambiamenti nella qualità dell’educazione? Nelle teorie dell’apprendimento? Nel successo dell’attività educativa? Nella democratizzazione dell’istruzione?

Effetti dell’ICT e processi di cambiamento
L’integrazione della tecnologia nei processi educativi ha introdotto nuove strade in cui gli insegnanti possono arricchire le attività di insegnamento e apprendimento. Gli insegnanti reagiscono all’uso della tecnologia in classe in modi differenti. Si ritiene che vi siano tre generazioni di insegnanti, in termini dell’uso della tecnologia in classe. Gli studenti stanno giocando un ruolo importante nelle attività scolastiche. Molti hanno familiarità con molte delle tecnologie impiegate nell’ambiente educativo.
Secondo Prensky, molti degli studenti oggi sono nativi digitali, ma i loro insegnanti sono immigrati digitali. L’uso della tecnologia in classe dovrebbe essere considerato appropriato se usato per scopi specifici, nei processi di insegnamento e apprendimento come parte integrante degli obiettivi di apprendimento. L’uso della tecnologia nei processi di apprendimento diventa valido solo quando vengono visti come elementi in un ambiente ben costruito. Pensa a te stesso. Sei un nativo digitale, o un immigrato digitale?
Per incrementare le attività in classe, gli insegnanti fanno uso di lavagne informatizzate, computer e tablet, software di test e misure, LMS-CMS, applicazioni interattive, giochi educativi, ipertesti, ipermedia, applicazioni multimediali.
La prima generazione: vi sono ancora insegnanti che temono l’uso delle tecnologie, tranne quelle più agevoli (lavagne e gesso, testi a stampa).
La seconda generazione: Insegnanti che usano qualche forma di tecnologia durente le presentazioni, anche se non spesso (proiettori a muro, riproduttori audio).
Terza generazione: Alcuni insegnanti massimizzano l’uso di diverse tecnologie, a volte al punto di sovraccaricare le attività in classe.
La crescente applicazione della tecnologia a supporto dell’insegnamento e apprendimento fornisce una base con cui alcuni insegnanti riconsiderano le loro strategie per le attività di insegnamento. Pensa al tuo insegnante preferito. A quale generazione appartiene?
Apprendimento sincrono e asincrono
Grazie a Internet, alle tecnologie informatiche e mobili, ai computer, le nuove tecnologie sono capaci di promuovere attività educative, sia sincrone sia asincrone, non confinate in tempi e spazi limitati.
Cos’è l’apprendimento sincrono? Stesso momento, ma non nello stesso posto. Diverse forme di televisive, digitali, e apprendimento on line in cui gli studenti apprendono da insegnanti, colleghi, studenti in tempo reale, ma non in presenza.
Cos’è l’apprendimento asincrono? Stesso posto, ma non nello stesso momento. Tipicamente applicato a interazioni insegnante-studente, o tra pari, in diversi luoghi, o differenti momenti. Anche l’apprendimento on line può essere asincrono. Lezioni pre-registrate, scambio di e-mail, bacheche di discussione, sistemi di gestione dei corsi che organizzano materiale di studio e relativa corrispondenza, sono tutte considerate forme di apprendimento asincrono.
Le risorse di apprendimento on line usate per supportare l’apprendimento asincrono includono e-mail, liste di distribuzione elettroniche, sistemi di conferenza, bacheche di discussione on line, wiki e blog.
Forme asincrone di comunicazione sono a volte implementate con il supporto di componenti come chat testuale e vocale, e videoconferenza. L’insegnamento faccia-a-faccia è sincrono, asincrono, o entrambi?

Teoria cognitiva dell’apprendimento multimediale
La teoria cognitiva di R.E. Mayer dell’apprendimento multimediale (CTML) incorpora diversi concetti provenienti sia dalla scienza dell’apprendimento sia da quella dell’insegnamento. La filosofia è che il disegno dei corsi di e-learning dovrebbe essere basato su una teoria cognitiva riguardo a come le persone imparano e su ricerche scientificamente valide. I corsi di e-learning dovrebbero essere costruiti alla luce di come la mente apprende e di evidenze sperimentali riguardanti le caratteristiche dell’e-learning che promuovono l’apprendimento migliore.
CTML è supportato dall’estesa ricerca di Mayer, coinvolgente la verifica delle teorie dell’apprendimento, focalizzandosi su situazioni reali. Parole e disegni presentati agli alunni attraverso una presentazione multimediale sono processati attraverso due canali separati, non in conflitto. Parole e immagini sono attivamente selezionati dallo studente dalla memoria sensoriale (attraverso occhi e orecchie) ed entrano nella memoria di lavoro dove sono organizzate in modelli verbali e pittorici. I due modelli sono poi integrati con la conoscenza pregressa richiamata dalla memoria a lungo termine. L’integrazione avviene nella memoria di lavoro, seguendo ogni porzione segmentata dell’istruzione in modalità multimediale.

Influenze della scienza dell’apprendimento
La teoria cognitiva del dual processing è stata descritta per primo da Paivio nel 1986. Essa suggerisce che gli stimoli verbali e visivi sono processati separatamente, ma simultaneamente, nella memoria di lavoro.
La capacità limitata della memoria di lavoro indica che questa memoria può gestire un numero limitato di voci di informazioni alla volta, ciò richiede di scegliere come allocare le risorse cognitive. La teoria del carico cognitivo fu sviluppata da Sweller, che propose l’esistenza di limitazioni nella capacità della memoria di lavoro.
Nel processamento attivo, le persone sono cognitivamente impegnate nell’attribuire un senso agli stimoli presentati nella memoria di lavoro. Quando si compie un apprendimento significativo, le persone sono abili a recuperare le conoscenze recentemente acquisite dalla memoria a lungo termine. Trasferimento vicino e lontano nel tempo.
Teoria del doppio codice
La teoria del doppio codice (DCT) è una teoria generale della mente e della cognizione. Si origina negli anni ’60 per spiegare la potenza degli effetti che l’immaginazione ha sulla memoria. La DCT è una delle teorie più influenti sulla cognizione che è stata applicata direttamente all’educazione. E’ il primo sistematico tentativo scientifico per collegare due tradizioni in filosofia e psicologia: immagine e parola.
La teoria DCT assume che la cognizione coinvolge le attività di due codifiche mentali qualitativamente differenti:
• Codifica verbale, specializzata per il linguaggio in tutte le sue forme
• Codifica non verbale, specializzata con oggetti non linguistici ed eventi in forma di immagini mentali.
I sistemi di codifica sono separati ma interconnessi. Possono operare indipendentemente, in parallelo, ma anche attraverso connessioni. La diversità e la flessibilità della cognizione viene dall’attività entro e tra i codici. La DCT è basata sulla comune assunzione della continuità tra percezione e memoria.
La DCT è quindi multimodale, dal momento che le esperienze verbali e non verbali possono avvenire con differenti modalità sensoriali, includendo la visione, l’ascolto, il tocco ( nel caso del linguaggio) e tutti i cinque sensi (nel caso delle immagini mentali)
Le teorie della memoria di lavoro, che propongono una diversa e specifica modalità di funzionamento della memoria, sono generalmente consistenti con la DCT, anch’essa assume che la memoria a lungo termine è una modalità specifica della memoria.
La DCT assume che la produzione di contributi innati alla cognizione e le differenze individuali sono il risultato dell’interazione tra i geni e l’ambiente. Una applicazione diretta di questa è che le immagini e il linguaggio concreto dovrebbero essere compresi e ricordati meglio dei linguaggi astratti.

Applicazioni ed estensioni della teoria del doppio codice
L’applicazione più produttiva della DCT è stata nell’alfabetizzazione. La teoria offre spiegazioni empiricamente supportate di tutti gli aspetti dell’alfabetizzazione:
1. decodifica
2. comprensione
3. risposta alla lettura
4. composizione scritta.
Un programma di istruzione su larga scala per migliorare la lettura e la comprensione, insegnando agli studenti a visualizzare mentre leggevano testi è stata applicata con successo in istituti scolastici urbani. Un’altra applicazione ha fatto uso dell’immaginazione cinestetica nella comprensione di un testo , mentre veniva letta da un insegnante, adoperando strategie per la focalizzazione dell’idea centrale.
L’uso dell’immaginazione mentale nell’apprendimento di capacità psicomotorie è stato estensivamente studiato. La più ambiziosa estensione della DCT è la sua spiegazione dell’evoluzione della mente. Negli ominidi l’intelligenza è evoluta da una primitiva forma non verbale ad una forma successiva che incorpora il linguaggio. I pensieri verbali e non verbali si sono accordati sinergicamente. Le immagini mentali in memoria rappresentano eventi passati, futuri, possibili o impossibili, in assenza di percezione.
Il linguaggio fornì un sistema assai sofisticato di segni per un pensiero efficiente e per la comunicazione tra gli umani, e in loro stessi. La combinazione di immaginazione e linguaggio è vista come la spinta evolutiva per tutti i progressi umani.
La DCT differisce dalle teorie che assumono che tutte le cognizioni hanno una comune, astratta, codifica, nella forma di schemi di proposizione. Il mentalese degli schemi, o proposizioni, è assunto essere computazionale in natura, costruito nel cervello analogamente a un codice di computer. I proponenti di altre teorie credono che la loro concezione sia più elegante e parsimoniosa. Alcuni aspetti della cognizione sono stati modellati nei computer in modo tale da supportare questi argomenti. Questa sfida resta irrisolta.

La teoria del carico cognitivo
La teoria del carico cognitivo è costruita sul modello largamente accettato del processamento umano dell’informazione. Le tre parti di tale processo sono: la memoria sensomotoria, la memoria di lavoro, al memoria a lungo termine. Ogni giorno veniamo bombardati da informazioni provenienti dai sensi. La memoria sensomotoria filtra molte di queste informazioni, e lascia una impressione dei temi più rilevanti, in modo che possa passare nella memoria di lavoro. L’informazione passa quindi in questo magazzino di memoria, dove viene di volta in volta processata o scartata. La memoria di lavoro contiene da cinque a nove voci (chuncks) di informazione alla volta (vedi regola del 7 più o meno 2 è centrale nella teoria del carico cognitivo).
Quando il cervello processa l’informazione, la categorizza, e la sposta nella memoria a lungo termine, dove è immagazzinata in strutture di conoscenza detti schemi. Vi sono diversi schemi per diversi concetti e comportamenti. Maggiore è la pratica nell’usare questi schemi, minore è lo sforzo per compiere i relativi comportamenti. Questo è chiamato automatismo. Anche gli schemi sono significativi nella teoria del carico cognitivo.
La teoria del carico cognitivo è stata sviluppata da J. Sweller, e fornisce un approccio scientifico al disegno dei materiali per l’apprendimento. Il carico cognitivo è in relazione con la quantità di informazione che la memoria di lavoro può gestire di volta in volta. Data questa capacità limitata, i metodi di addestramento devono evitare di sovraccaricarla con attività addizionali che non contribuiscono direttamente all’apprendimento. La teoria del carico cognitivo ci mostra che la memoria di lavoro può essere ampliata in vari modi:
• Effetto modalità, dato che la mente processa separatamente informazioni visive e uditive. Un testo e un disegno competono l’uno con l’altro.
• Conoscenza prioritaria, dato che la memoria di lavoro tratta un certo schema come una singola voce. Una pratica automatizzata aiuta ad imparare facilmente e senza sforzo.
• Attività di apprendimento, applicata su conoscenze pregresse, si espandono la capacità della memoria di lavoro.
• Pre-training, o competenze precedentemente acquisite da parte dello studente, introdotte in un nuovo argomento. Aiuta a stabilire schemi che estendendo la memoria di lavoro. Ciò significa che è possibile acquisire e comprendere informazioni più complesse.
La teoria del carico cognitivo aiuta a disegnare addestramenti che riducono la domanda di memoria di lavoro degli studenti, in modo da apprendere più efficacemente. Ad esempio, determinando le conoscenze richieste e adattando di conseguenza la presentazione. O anche riducendo lo spazio del problema in parti, e presentando soluzioni divise in parti.
Effetto di riduzione dell’attenzione divisa. Sorgenti multiple di informazioni visive rendono più difficile la creazione di nuovi schemi. Questo effetto è ridotto quando le informazioni visive sono integrate. Ad esempio, incorporando etichette nei diagrammi, piuttosto che ponendole in un box a lato, o rimuovendo ogni sorgente estranea, fonte di rumore.
Suggerimento: Prendere vantaggio dai canali visivo e auditivo nella memoria di lavoro. Un’altra via di superare l’effetto dell’attenzione divisa è di rimpiazzare alcune informazioni visive con informazioni uditive. Questa combinazione riduce il carico cognitivo nella memoria di lavoro, poiché il canale uditivo ha il suo spazio di memoria.

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La psicologia tra oriente e occidente

Il tema di questo articolo – gli approcci allo studio della mente e della presenza mentale in Oriente e Occidente – è presente da oltre due decenni nella sfera della cura ampiamente intesa, in numerosi programmi di ricerca nei campi delle scienze umane, delle neuroscienze e delle scienze cognitive. Tali attività, nel momento in cui sono impostate in collegamento con la meditazione, e più in generale con le vie della tradizione, costituiscono un terreno di nuove esperienze e di sviluppo nello studio della mente e dei suoi processi, e nelle forme di prevenzione e di cura olisticamente intese. In effetti, nell’attuale panorama storico e culturale, caratterizzato da una compiuta globalizzazione, i rapporti tra culture diverse sono così intensi da sfumare in una reciproca ibridazione, facendo emergere connessioni molteplici, improbabili fino a pochi decenni or sono.
L’obiettivo è quello di accennare anche alle caratteristiche dell’orientamento teorico-esperienziale alla consapevolezza del momento presente, a come possa influire sui processi mentali e sui vissuti personali di coloro che la ricercano e la praticano, e inoltre investigare sui possibili percorsi di integrazione tra modelli e punti di vista diversi tra loro.
Da alcuni anni mi sono interessato al tema delle tecniche meditative come la meditazione buddhista vipassana, meglio conosciuta come insight meditation, o mindfulness, di cui oggi molto si parla, forse anche in termini di moda. L’interesse per questi argomenti è cresciuto in me nel corso degli anni, alimentato anche da vari contesti di apprendimento e di pratica formale di yoga, meditazione e arti marziali, con finalità prevalentemente formative e culturali, a Napoli e in altre città. Mi affascina pensare che alcune discipline, nate per alleviare la sofferenza, siano praticate da millenni, e che il loro uso sia tenuto tuttora in grande considerazione, come se le attuali mappe psichiche e terapeutiche non esauriscano i bisogni e le potenzialità di cura dell’essere umano.

Oriente e Occidente in psicologia
La psicologia moderna nasce in Occidente nel secolo XIX con una impostazione scientifica, volta a costruire un sistema di pensiero omogeneo e sistematico, sul modello delle scienze fisiche e naturali. Accanto a questa, l’ottica umanistica e sociale ha portato in evidenza il problema di ridurre la coscienza al solo prodotto dell’attività cerebrale, trascurando le implicazioni culturali e sociali nella vita di ogni essere umano.
Gli attuali sviluppi vedono due impostazioni prevalenti:
* le scienze cognitive, di impostazione naturalistica, che indagano i processi mentali di conoscenza, i comportamenti e la comunicazione.
* la clinica, che interviene sul disagio psichico, con una impostazione più aperta alla complessità e alla originalità del quotidiano.
Con l’ibridazione delle culture, entrambe si mostrano oggi più o meno aperte alle tradizioni sapienziali orientali. Queste cosiddette “psicologie tradizionali” nascono come riflessioni razionali sul cammino spirituale, meditativo e contemplativo. Esse studiano ed evidenziano esperienze e riflessioni, in una sorta di empirismo filosofico razionalista, in particolare per il buddhismo. Vengono riportate mappe e descrizioni dinamiche minuziose di un cammino interiore di tipo mistico e ascetico, di cura spirituale, ma non certamente di tipo terapeutico, modernamente inteso. Qui può nascere la fecondità dell’incontro con le psicologie e psicoterapie occidentali, dal quale si può originare un modello più ricco e completo, una nuova e più completa mappa dei processi mentali, che guidi le psicologie e le terapie del futuro. In questa prospettiva, la mente, il pensiero e la coscienza non sono visti come fenomeni interni all’individuo (o alla coppia/diade), ma invece come eventi inter-individuali , collettivi e sociali. Tra le correnti più influenti di tale ricco panorama vanno ricordate la p. Culturale di J. Bruner, la p. Umanistica di A. Maslow, la p. Transpersonale di R. Assagioli, e infine la p. Positiva di M. Seligman.

La Mindfulness
Recentemente, gruppi di ricercatori in varie parti del mondo hanno innovato le modalità tradizionali dell’approccio teorico e clinico di tipo neuro-cognitivo e comportamentale, sperimentando percorsi che si richiamano alle tradizioni esperienziali e alla meditazione di matrice orientale. Tra le numerose vie di ricerca, la meditazione vipassana, o di consapevolezza, è quella più studiata e sperimentata dai ricercatori; nel mondo anglosassone è conosciuta come insight meditation, o mindfulness, contrazione quest’ultima di mindful awareness, termine che traduce la voce sati, (lingua Pali), che denomina uno attributo mentale considerato basilare in tutte le tradizioni del buddhismo, e che può essere tradotto anche con “consapevolezza a mente vuota”, “attenta consapevolezza”, “presenza mentale” (per approfondimenti, cfr. Chiesa, 2011). Esistono numerosi studi sulla descrizione delle tecniche, gli strumenti, le applicazioni terapeutiche, ma poco su come l’utilizzo di tali nuove forme di presenza mentale incidano sui processi di costruzione della propria identità, sull’incapacità ad essere se stessi nella relazione con il il proprio corpo, con il mondo ed accettarsi per quello che si è, e sulle infinite motivazioni sottese a questi comportamenti, come si sviluppi una nuova fisionomia, che caratteristiche assuma etc…
Vi sono in linea di massima due prospettive già molto avviate: 1) la prospettiva delle neuroscienze e delle scienze cognitive (approccio mindsight, di Daniel Siegel), 2) quella delle psicoterapie cognitive orientate alla mindfulness (ad esempio, il noto programma Mindfulness-Based Stress Reduction, legato alla figura di Jon Kabat-Zinn). E (sempre grosso modo) due sono gli orientamenti: un entusiasmo incondizionato e ‘ingenuo’ nei confronti delle nuove tecniche di matrice orientale, o al contrario profezie e condanne (soprattutto nel campo psicologico) per la presunta carenza di validità scientifica evidence-based. In tal modo, mi sembra che si corra il rischio di perdere di vista quello che dovrebbe rappresentare il centro della discussione e cioè l’essere umano, con le sue modalità di acquisizione del reale e di rappresentazione del mondo.
A questo proposito, vi è un ambito che in senso lato può essere definito educativo, con la finalità generale di accompagnare percorsi individuali sulla via della consapevolezza, motivati né dalla cura di patologie, né da ciò che genericamente si definisce come ricerca spirituale (Paul Ekman, programma Cultivating Emotional Balance nell’ambito di Mind and Life). Tendenzialmente sono interessato al suddetto ambito, e alle ipotesi contenute in programmi “educativi”, rivolte a persone sane (o normalmente nevrotiche) alle prese con stress e ansie, e mutuate da tecniche meditative.

Sfide per la cultura Occidentale
Nella società contemporanea vi è un’assenza della consapevolezza della natura psico-spirituale umana. Si osserva da tempo una progressiva atrofizzazione delle capacità di introspezione. Uno dei molti errori culturali di oggi sta nella cosiddetta “religione della scienza”: ciò che non si può misurare non esiste, quando invece l’affermazione corretta è che ciò che non si può misurare non rientra nell’ambito della scienza. La cultura orientale porta in dote una visione profonda dei fondamenti dell’essere e della realtà, insieme a valori antichi e universali.
D’altro canto, l’Occidente è forse giunto a un punto critico in cui ha iniziato a comprendere che il controllo tecnologico sul mondo esterno ha dei limiti, e questi limiti invitano a cercare all’interno di sé. La scienza ha cominciato a fare una riflessione critica e a vedere che la tecnologia va associata a una esplorazione dell’uso che ne facciamo. In questo momento l’Occidente si sente forse di aver troppo trascurato questo aspetto, quindi si ritorna a esplorare la vita interiore. Insieme alla tradizione spirituale, che è quella della mistica cristiana, per esempio, c’è la tradizione psicologica che ha estesamente sondato i processi della mente. Rivolgersi invece all’Oriente, significa addentrarsi in un terreno meno inquinato da una serie di ferite o di condizionamenti, che alcuni di noi sentono di aver ricevuto dall’educazione tradizionale occidentale.
“La verità è una cosa viva che non può essere fermata in una convinzione”. E il non attaccamento di cui parla il Buddha è proprio il lasciare andare tutte le convinzioni e trovarsi quindi di fronte alla vita, alla realtà, al mistero della morte, con una mente che non presume di avere già, di sapere già la risposta. Questo è l’inizio del cammino, e anche la fine, perché, nel momento in cui noi siamo di fronte alla verità senza una qualsiasi opinione, a quel punto forse si manifesta un’altra capacità di conoscere, che chiamano, per esempio, i buddhisti, sapienza, saggezza, che altrimenti non può venire, perché la nostra mente è troppo occupata, affastellata di convinzioni, di concetti. In questo senso, la via della meditazione è intesa come un percorso dove (più che apprendere, accumulare conoscenza) lasciare andare tutto ciò che crediamo di sapere, e cominciare con una mente aperta e fresca a vedere quello che c’è. Infatti, se esiste questa dimensione, è sempre davanti ai nostri occhi, anche se non la vediamo. Il lavoro meditativo viene fatto attraverso uno strumento che è la consapevolezza intuitiva: si aumenta la capacità di essere presenti, qui e ora, alla vita, anziché, come spesso ci accade, perderci nei ricordi del passato e nelle anticipazioni del futuro, senza più accorgerci di dove stiamo, di che cosa stiamo facendo e di chi siamo. Allora la pratica meditativa è proprio la capacità di calmare la mente, al punto che in certi momenti la mente diventa stabile come la fiamma di una candela in una stanza senza vento, per indicare questa caratteristica meditativa, cioè la calma, quel riposo sveglio che ci permette di guardare. Ma l’aspetto più importante è guardare attraverso la calma. Se ho un’acqua agitata che solleva la sabbia, non posso vedere il fondo. Per vedere il fondo devo aspettare che l’acqua si calmi e si depositi la sabbia, ma poi devo guardare. Ecco, questo guardare, che è la consapevolezza, è considerato qualcosa di importantissimo perché ha la capacità di trasformare l’energia anche delle emozioni negative. Infine, la via meditativa è una terza via tra non reprimere e non scaricare le emozioni. Essa consiste nell’osservare le emozioni e nel sentirle in vari modi: fisicamente, in che punto del corpo le sento, osservare che pensieri evocano, lasciarle consapevolmente sorgere-manifestarsi-esaurirsi.

Franco Bruno

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Formazione

La scoperta dell’errore

L’apprendimento avviene mediante la scoperta dell’errore è grazie ad esso che arriviamo alla conoscenza.
Saper di poter sbagliare aiuta il soggetto a non temere il giudizio perché consapevole del fatto che attraverso di esso la conoscenza aumenta. L’incontro, come pratica e scoperta, il superamento dell’errore, il controllo dell’errore, individuale o collettivo che sia, può essere produttivo di nascita e sviluppo di sentimenti che attengono alla sfera morale e sociale dell’essere umano. Il bambino che ha dimestichezza con l’errore, sia nel commetterlo che nel correggerlo, e osserva il suo simile che viene a trovarsi nelle sue stesse condizioni, si sente a lui vicino e legato per qualcosa che fa parte della loro natura e della loro formazione.
Anche la scuola ha iniziato ad interrogarsi sulla concezione dell’errore. Si è cominciato a ragionare sul problema dell’errore come aspetto connotato di valenza non solo negativa ma anche positiva. L’apprendimento si connota di una sua specificità di processo mentale, e l’insegnamento si configura come attività di mediazione tra il soggetto che costruisce questi processi e l’oggetto culturale che diviene la fonte ineliminabile di alimentazione degli stessi. In questa logica, l’attenzione è tutta spostata sui processi di apprendimento che l’alunno attiva, sui suoi sforzi, le sue difficoltà, i suoi errori. La sottolineatura dell’errore è di tipo positivo, l’insegnante supporta cioè l’alunno nella riflessione su ciò che sta avvenendo nella sua mente mentre sta imparando. Il compito dell’insegnante è anche quello di far comprendere ai propri allievi che l’errore non è un peccato o qualcosa di drammatico e scandaloso, ma il motore del progresso scientifico e del processo educativo nel quale sono coinvolti.
La pedagogia positiva dell’errore si realizza in due aspetti: portare l’alunno alla riflessione sul suo apprendere e aiutarlo a controllare in modo positivo i suoi sforzi, i suoi insuccessi, le sue insicurezze, ma anche l’insegnante, in questo processo, si mette in discussione circa i propri possibili errori e su come riuscire a prevenire gli errori degli alunni, nei processi di insegnamento-apprendimento che attiva. Egli si interroga soprattutto in rapporto al tipo di strategie da attivare per favorire il successo nell’ apprendimento, attraverso processi di controllo differenziati a seconda della difficoltà del compito di apprendimento.
Tra le strategie più utili a tal fine vi è certamente la necessità di tener conto che è necessario saper proporre in modo chiaro ed inequivocabile obiettivi, comportamenti, risultati attesi rispetto al processo di apprendimento attivato. Questo significa che l’attenzione sull’alunno non sarà tanto focalizzata sul fatto che egli sta acquisendo competenze comportamentali, quanto sulle sue modalità di pervenire alla conoscenza, sui procedimenti mentali ed emozionali che lo portano a modificare la sua struttura di conoscenza in modo flessibile e articolato, ed a sapere di sapere, modificando in tal modo i propri processi mentali. Tale pedagogia e prassi educativa, che traggono fondamento dalla negazione di ogni rigida metodica e sono improntate al dinamismo creativo, alla cooperazione fattiva, alla ricerca perenne, sono basate sull’esperienza per tentativi: esperienza, cioè, rivolta alla ricerca di soluzioni soddisfacenti dei problemi che la viva realtà pone continuamente (cfr. Freinet, 1963). Questa ricerca comporta, per sua natura, di incorrere continuamente in errori, che volta a volta vengono eliminati, spianando così la strada verso la conoscenza, alla cui base, pertanto, c’è una forte motivazione e alla cui scoperta concorre certamente una buona dose di immaginazione e di creatività, disciplinate poi da un lucido rigore logico.

da Andrea Pedullà MindMapp

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Cultura digitale Formazione

Il lato nascosto della rete

E’ in atto una mutazione profonda della partecipazione sociale, che passa attraverso i media caratterizzati da interattività, immersività e connettività permanente e globale.
Il web rappresenta un modello pluralista e democratico, molto bello perché può dar voce a chiunque, ma anche profondamente violento e malato in molte sue componenti.
Ma la rete non è né l’inferno, né il paradiso: è una piazza neutra, ed ognuno sceglie a quale discorso vuole prendere parte e con chi. Come per i libri o i video generalisti, prendiamo quelli che preferiamo e, se graditi, li lasciamo entrare nel quotidiano, nei giudizi, nelle azioni, altrimenti si dimenticano presto e va bene così.

Il fatto che molti possano esprimersi, farsi ascoltare e entrare in pubblico dibattito non pone alriparo dalla presenza di tante assurdità. Vi è però il lato positivo della necessità di essere attenti, scettici, di cercare riferimenti incrociati, di trovare da soli ciò che ci serve.
È una battaglia che si gioca su un piano molto insidioso e la posta in gioco è il recupero della cultura e del suo senso, della dignità del reale, della relazione diretta “corporea”, recupero del senso dialogico e dialettico da persona a persona. La cultura deve poter migliorare la qualità della vita, la propria singolarissima vita, che è anche vita di relazione, vita di affetti, vita politica e di partecipazione. C’è bisogno di persone che sappiano pensare fino in fondo i loro pensieri, che amino studiare, che non sfuggano il contatto con l’altro e che sappiano contrattare le reciproche intolleranze senza odio e paura, perché vogliono edificare nella relazione. È possibile? Io penso di sì.
Il web è solo uno strumento e un ponte, non uno scopo, e infine somiglia a chi sei tu.
(dal blog Manuale Inapplicabile).