Pensare significa oltrepassare (E. Bloch, Il principio speranza)
Categoria: Recensioni
La forza della motivazione
Osserviamo l’etimologia del termine motivazione: dal latino “moveo”, verbo che significa “muovere verso”. La motivazione possiamo considerarla un insieme di forze costituita da: passione per ciò che si fa, idee allineate con i propri valori, pensieri con chiara vision futura di ciò che piace realizzare (l’abilità d’immaginare vividamente la nostra vita con l’idea/sogno realizzato, ascoltare come ci sentiamo una volta traguardata la meta). Mantenere costantemente il focus su cosa può darci la realizzazione dell’idea e attuare comportamenti tali che generano l’energia necessaria per camminare verso l’attuazione.
Bisogna essere motivati per avere possibilità di successo.
Senza motivazione non si raggiunge alcun obiettivo!
Immaginate ora un fiume in piena che scorre rapidi pendii dalla montagna, l’energia dell’acqua che scende a valle è travolgente e possiamo associarla alla motivazione come concetto, si, un fiume in piena! La motivazione ha la forza di travolgere, vive nel nostro io più intimo e profondo, è nutrita dall’autostima che abbiamo, persevera se il livello di sicurezza e di controllo che abbiamo sul contesto è alto (solitamente determinato dalla competenza). La motivazione cresce se ciò che facciamo lo riteniamo utile per noi e soprattutto per gli altri.
Che impatto ha il contesto in cui si vive e si lavora sulla nostra motivazione?
Osserviamo e attuiamo CINQUE passi fondamentali:
Envisioning: la capacità di creare una visione chiara, mentalmente nitida, osservabile da più angolazioni (punti di vista) e che dia sempre lo stesso risultato desiderato. Costruire mentalmente prima e poi ben fissare e dettagliare su plan le linee guida per raggiungere gli obiettivi.
Education: ricercare la propria e altrui competenza necessaria allo scopo. Creare, se necessario, quelle occasioni di formazione e di confronto continui per il proprio e altrui sviluppo personale e professionale.
Evaluation: apprendere è fondamentale, così come lo è la consapevolezza di avere o meno uno standard di adeguata capacità e valore per fare accadere le cose. Saper di poter fare accadere le cose diventa uno dei fattori più motivanti.
Tant’è che ricerche di mercato sui “sistemi premianti” attuati sulla meritocrazia (capacità del fare) dimostrano che sono estremamente motivanti.
Empowerment: il processo di crescita, dell’individuo e del gruppo, basato sull’incremento della stima di sé, dell’autoefficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale. Lo sviluppo della personalità, delle potenzialità delle risorse è elemento chiave per la massima espressione della motivazione di una persona.
Empathy: la capacità di vedere e sentire con gli occhi e le orecchie dell’altro o del contesto. Diventa l’altro se vuoi sentire il suo cuore battere e le emozioni scorrere nelle vene, diventa l’albero se vuoi assaporare la brezza tra le foglie, diventa tigre se vuoi comprendere il ruggito, diventa un orologio se vuoi percepire la dimensione del tempo. La capacità di relazionarsi, ascoltando prima, includendo lo stato d’animo ed emotivo, può portare alla realizzazione crescente del coinvolgimento e quindi della motivazione.
Le dinamiche relazionali hanno ruolo centrale sulla motivazione.
Questi cinque elementi miscelati, amalgamati, in giusta misura, direi anche con armonia su di se o in una organizzazione, portano alla crescita notevole e duratura della motivazione.
Far mancare anche uno solo di questi fattori costringe ad accedere alla propria resilienza, se questa è forte ci sono possibilità che la motivazione perseveri. Diversamente la propria autostima, la capacità di motivarsi inizia a scendere fino al punto che si supera quella soglia tale che porta all’abbandono dell’obiettivo da raggiungere e la decisione di perseguire una strada differente.

Lo stress cronico è causa di modificazioni neuronali che rinforzano i circuiti dello stress. La pratica della mindfulness è uno strumento psicoeducativo essenziale per la riduzione dello stress. Attraverso i protocolli mindfulness-based si impara a non alimentarlo. Un percorso di otto settimane insegna pratiche meditative per riuscire a relazionarsi alla realtà in modo differente. Il risultato, se la pratica è costante, è di abbassare i livelli di allarme e di ansia, con benefici per il sistema immunitario e cardiocircolatorio.
Tutto questo funziona, a patto che non approcciamo la pratica della mindfulness come uno stressor. Può succedere che le persone inizino un percorso per la riduzione dello stress al culmine di un periodo faticoso. Schiacciate dalla fatica e da un senso di non farcela più ad affrontare tutto (casa, lavoro, figli, partner).
La mindfulness si propone come uno strumento per uscire dal circolo vizioso dello stress. Salvo essere inserita in una lista di cose-da-fare. In una giornata piena di impegni, può essere concretamente difficile trovare uno spazio per sedersi a meditare per 20-30 minuti. Le cose da fare sono tante, con tragitti di ore nel traffico cittadino. Attività proprie e degli altri membri della famiglia. Lavori da consegnare.
Meditare può sembrare una perdita di tempo. C’è un’urgenza di stare meglio, ma non si è disposti a cambiare nulla dell’organizzazione della propria giornata. Pensare di ottenere rapidamente risultati per ridurre lo stress significa aumentare lo stress! Se ci avviciniamo alla pratica pensando “devo praticare”, presto svilupperemo avversione e non inizieremo mai veramente a meditare. Per praticare la consapevolezza, è necessario sostenere la nostra motivazione con senso di responsabilità. Scegliamo di coltivare la consapevolezza e il nostro benessere, mettendo un “voglio praticare” al posto di “devo praticare”.
Ciò che funziona è fermarsi, rallentare, e fidarsi della pratica. Darsi il permesso di non dover essere sempre efficienti e produttivi.
Il being mode
Meditare significa semplicemente essere. Non c’è niente da fare. Nessun risultato da ottenere. Solo sedersi ed osservare la mente secondo il being mode di cui parla Kabat-Zinn. Nella modalità dell’essere (being mode) non c’è nessuna attività produttiva. L’unica cosa da fare è essere pienamente presente nel qui ed ora. Le pause che ci ritagliamo per meditare ci educano a lasciar andare le cose da fare, a lasciar andare i problemi e le preoccupazioni. E anche lasciar andare la fretta, le aspettative persino sugli effetti della pratica!
Questo significa essere disposti a rivedere le proprie priorità. Ci sono cose importanti nelle nostre vite da cui non possiamo prescindere. Ma possiamo decidere quanto tempo dedicargli. E il nostro benessere, che posto ha? E’ importante prendercene cura? Quanto tempo vogliamo dedicare alla cura di noi stessi?
Scrive Corrado Pensa a proposito della pratica meditativa:
Di solito l’abitudine alla reattività porta a chiedersi quando si cesserà di soffrire. In quel caso abbiamo già rinunciato alla comprensione, perchè dopo aver detto che c’è sofferenza ci chiudiamo subito in un atteggiamento di avversione.
Comprensione vuol dire invece portare la consapevolezza non giudicante sulla sofferenza, al fine di comprendere in maniera viva e immediata le sue cause. E per raggiungere tale scopo abbiamo bisogno di addestramento, e la meditazione è la via principale.
(da Il silenzio tra due onde )
L’unica urgenza che ha senso, nell’approcciare la mindfulness, è quella intesa come importanza del prendersi cura di sè.
Da alcuni decenni è evidente la significativa influenza che le pratiche basate sulla consapevolezza e sull’accettazione hanno avuto sullo sviluppo delle terapie cognitivo-comportamentali. In questo testo si fa riferimento al rapporto fra la psicologia in ambito congnitivista e l’approccio alle pratiche di meditazione di origine buddhista, chiamate mindfulness nel mondo anglosassone. Il termine “Mindfulness” è stato usato come sinonimo di una varietà di pratiche, ampiamente derivate dal corpus dottrinale e esperienziale di matrice buddhista.
Il termine originario significa consapevolezza (sati, in lingua Pali), e può essere definito come attenzione focalizzata sul momento presente, accettazione consapevole e memoria della propria intenzione. Pur basandosi su qualità umane naturali, la mindfulness comporta anche l’accesso a una modalità di prestare attenzione che è diversa da quella che tipicamente le persone prestano durante il normale flusso della vita quotidiana. Si tratta del metodo insegnato dalla tradizione per entrare in contatto in modo diretto con la propria mente. Essa implica il coltivare e l’accedere a una modalità intenzionale dell’esistenza.
Il termine inglese è entrato nel linguaggio psicologico occidentale in maniera prominente dopo che il dott. Jon Kabat-Zinn ha promosso per primo questo orientamento, introducendo fin dagli anni ‘80 queste pratiche negli ospedali, ma anche nelle carceri e in altri ambienti. La sua figura è assai nota, ha lavorato al MIT con diversi premi Nobel, è una persona accreditata che ha autorevolmente promosso un confronto fra la psicologia occidentale e le tradizioni orientali.
Venendo al tema principale del libro, l’opera di tre illustri scienziati cognitivisti che hanno seguito per anni il lavoro di Kabat-Zinn, affronta il tema della depressione di origine ansiosa, che è oggi una delle sindromi più comuni. Ora, nell’ambito delle prospettive attuali del cognitivismo, influenzate dal movimento della mindfulness, si inizia a ritenere che una delle cause della depressione ansiosa sia il pensiero automatico, ovvero il pensiero ripetitivo e di tipo ansioso. Un’utile pratica terapeutica appare essere quella di distanziarsi da questo tipo di pensieri, nel senso di osservarli come eventi creati dalla mente, anziché come eventi causati dalla realtà. Questo tema è di grande importanza, perché oggi la depressione ansiosa è una delle sindromi più diffuse. Comprendere che all’interno della depressione ansiosa, e soprattutto del suo mantenimento, vi siano i pensieri automatici, e comprendere che la pratica della mindfulness agisce esattamente sui pensieri automatici, riducendoli, è una porta di ingresso a nuove possibilità insperate.
Secondo il cognitivismo classico (ad esempio, T. Beck e A. Ellis), la depressione è causata da convinzioni disfunzionali, per cui l’obiettivo era stato individuato nel cambiamento di queste convinzioni dannose. Oggi, grazie all’ibridazione con le pratiche meditative, ci si rende conto che non è tanto importante cambiare le nostre convinzioni, (queste possono anche essere mantenute), ma l’importante è che non si dia loro eccessivo valore, che le riconosciamo cioè come eventi generati dal nostro pensiero, anziché cadere nell’inganno che siano fenomeni collegati alla realtà. L’idea forte è che il centro della salute mentale è la capacità di disidentificazione: il cambiamento non riguarda tanto le parti interne (pensieri e emozioni), ma piuttosto il rapporto che la nostra capacità razionale e di governo ha con i nostri pensieri e con le nostre emozioni. In questo senso l’adulto che è dentro di noi assume il ruolo principale.
Il ripetuto movimento di distanziamento, attraverso la consapevolezza non discorsiva, da ciò che crediamo reale è il fondamento della cura (pag. 40).
Per comprendere cosa sia la consapevolezza non discorsiva ci riferiamo a un autore, Corrado Pensa, insegnante di meditazione fra i più conosciuti in Italia. Egli afferma che tutti noi siamo soggetti a una fascinazione indiscriminata per l’attività mentale, per il pensiero. Ci sentiamo a posto solo quando la mente pensa molto, non importa cosa, non importa come; è il cosiddetto discorrere mentale. In secondo luogo, ci aspettiamo che la soluzione di tutto venga dal pensare, dal leggere e dal parlare. E’ una specie di fede cieca, di abbandono a un presunto potere magico del pensare e ripensare, una cognizione compulsiva o proliferazione mentale, che si accompagna a forme giudicanti e successive reazioni emozionali di avvicinamento (attaccamento) e di allontanamento (avversione). Siamo davanti a uno dei legami più forti e radicati: l’attaccamento alla concettualizzazione e alla verbalizzazione, la dipendenza dall’incessante discorrere mentale, con l’importante conseguenza di una diffidenza per tutto ciò che esula dalla discorsività. Una delle nostre fondamentali ossessioni è il pensiero discorsivo, mentre la capacità di rapportarsi alla realtà mediante facoltà diverse dai concetti, è considerata appannaggio di bambini e animali.
In realtà, la capacità di investire gli oggetti della consapevolezza di una osservazione silenziosa, benevola e non giudicante, è presente in chiunque e può essere alimentata, malgrado non sia fatto quasi mai.
La pratica assidua della pura consapevolezza (mindfulness, sati) vuole coltivare importanti qualità dell’umana natura. Innanzitutto, la benevolenza incondizionata (metta), che consiste in una relazione amichevole verso se stessi e verso gli altri, in un rapporto non difensivo, non diffidente, verso tutta la realtà. Ciò ha immediate conseguenze etiche, ma tale approccio comportamentale può maturare spontaneamente, senza la forzatura di imperativi morali che si infrangono contro la resistenza delle strutture egoiche del pensiero.
È molto probabile che la qualità dell’attenzione fosse un aspetto integrante della coltivazione di un pensiero razionale, di una prospettiva equilibrata, saggezza e compassione tipici dello stile socratico e della civiltà greca antica. Nel corso del tempo e attraverso le culture, queste note inerenti diversi orientamenti, introducono aspetti, che potrebbero essere approfonditi, della comune identità umana.
In questo testo l’autore, esperto insegnante di meditazione secondo la tradizione buddhista Theravada, sviluppa ampiamente il tema degli aspetti interpersonali delle pratiche meditative secondo la prospettiva della mindfulness, che negli ultimi decenni si sta diffondendo, e che si arricchisce progressivamente di applicazioni in campo clinico e sociale.
Mindfulness è la traduzione inglese del termine sati, che in lingua pali significa consapevolezza. Il termine è stato impiegato per denominare una serie di metodologie e di pratiche, a partire dall’importante protocollo di medicina complementare MBSR di Jon Kabat-Zinn, per la riduzione dello stress.
Ricco di numerosi esempi concreti, il libro segue la matrice degli insegnamenti tradizionali, adattandoli al contesto occidentale, e portando l’attenzione sugli innumerevoli aspetti del vivere quotidiano in relazione, che costituisce il vero banco di prova dell’equilibrio personale.
Le interazioni sociali possono essere viste anche dal punto di vista dell’individuo e delle dinamiche interne, ma la gran parte degli automatismi prodotti da influenza sociale e spinte culturali è meglio evidenziata da un’impostazione relazionale e sistemica.
Al cuore dell’elaborazione di Kramer vi è il cosiddetto insight dialogue (dialogo di consapevolezza) che si esplicita nel prestare attenzione alla relazione interpersonale nel momento presente, con curiosità e accettazione.
E’ comune riconoscere di essere costantemente governati da automatismi e pensieri ricorrenti. Un’utile pratica appare essere quella di distanziarsi da questo tipo di pensieri, nel senso di osservarli come eventi creati dalla mente, senza confonderli con gli eventi reali. Comprendere che all’origine di stati di tipo ansioso, vi siano i pensieri automatici, e che la pratica della mindfulness agisce esattamente sui pensieri automatici, riducendoli, è una porta di ingresso a nuove possibilità di vita e di relazione.
I benefici per l’intero organismo di una regolare e seria applicazione delle forme di attenzione calma e rilassata agli eventi del momento presente, sono ormai largamente riconosciuti ma, generalmente, i momenti formali sono in forma individuale; anche se svolti in gruppo, non sono previste particolari interazioni meditative tra i partecipanti. Confortata da esempi nella storia delle correnti contemplative religiose (soprattutto monastiche), la proposta dell’Insight Dialogue è quella di esplorare le potenzialità di meditare in relazione, interagendo in alcuni momenti sul piano verbale e non verbale. L’addestramento fornisce utili spunti per la vita sociale ordinaria, e contribuisce anche a illuminare aspetti individuali del percorso meditativo, che non avevano avuto occasione di evidenziarsi nella tradizionale pratica solitaria.
Il testo procede seguendo la via delle quattro nobili verità del Buddha: la presenza della sofferenza, l’origine della sofferenza, la cessazione della sofferenza, il sentiero che conduce a tale estinzione. Vi è una sofferenza intra-psichica e personale, ma anche i complicati intrecci delle relazioni sono determinanti nel condizionare la nostra maturazione e sviluppo. Anche in tale universo, la sofferenza che esiste, ha un’origine, può essere fatta cessare e vi è una strada per conseguirlo.
In primo luogo, le relazioni rappresentano un impegnativo banco di prova nel percorso di crescita personale. Per includere e trasformare gli schemi abituali, la pratica assidua della pura consapevolezza nella relazione vuole coltivare importanti qualità umane. Innanzitutto, la benevolenza incondizionata (metta), che consiste in una relazione amichevole verso se stessi e verso gli altri, in un rapporto non difensivo, non diffidente, verso tutta la realtà. Ciò ha immediate conseguenze etiche, ma tale approccio comportamentale può maturare spontaneamente, senza forzature o resistenze da parte delle strutture del pensiero.
In secondo luogo, lo sviluppo dell’insight, dell’intuizione, della chiara comprensione di ciò che c’è, nel mondo e in noi stessi favorisce un’intelligenza, una visione risolutiva spontanea (prajna) che nasce proprio dalla coltivazione assidua di un’attenzione calma e aperta. Tale aspetto può apparire apparentemente contraddittorio, ma è stato sperimentato in molte occasioni, sia nella prospettiva orientale (ad esempio, i koan della tradizione zen), sia in quella occidentale. Ad esempio, il metodo socratico si pone l’obiettivo, attraverso una serrata e acuta analisi logica, di sciogliere le ingessature intellettuali e dare spazio al sorgere intuitivo di una nuova comprensione sulla realtà. (vedi pag. 42 ss).
Concretamente, Kramer suggerisce sei passi: Pausa, Rilassa, Apri, Confida nell’emergere, Ascolta in profondità, Dì la verità. Il punto-chiave è il primo, dare cioè il giusto tempo alla comunicazione e alla relazione, predisponendosi con calma e disponibilità al confronto e al pieno ascolto reciproco, osservando le sensazioni che emergono alla coscienza. La pratica della consapevolezza può essere intesa come una purificazione della percezione: togliere pregiudizi, barriere, filtri, per far emergere quello che c’è.
Nella nostra esperienza, abbiamo tutti sperimentato che la soluzione a un problema può arrivare più facilmente quando siamo rilassati, al mattino, dopo una passeggiata, rispetto a quando si sta rimuginandovi su da troppo tempo. Non si tratta di esperienza (know-how), né di competenza. La benevolenza e l’intelligenza intuitiva rappresentano risorse preziose per operare ed evolvere in modo autentico e responsabile; esse sorgono dalla piena consapevolezza del momento presente, e possono (o forse devono) essere condivise con le altre persone.