Categorie
Mindfulness Recensioni

La mindfulness come strumento per ridurre lo stress

Lo stress cronico è causa di modificazioni neuronali che rinforzano i circuiti dello stress. La pratica della mindfulness è  uno strumento psicoeducativo essenziale per la riduzione dello stress. Attraverso i protocolli mindfulness-based si impara a non alimentarlo. Un percorso di otto settimane insegna pratiche meditative per riuscire a relazionarsi alla realtà in modo differente. Il risultato, se la pratica è costante, è di abbassare i livelli di allarme e di ansia, con benefici per il sistema immunitario e cardiocircolatorio.

Tutto questo funziona, a patto che non approcciamo la pratica della mindfulness come uno stressor. Può succedere che le persone inizino un percorso per la riduzione dello stress al culmine di un periodo faticoso. Schiacciate dalla fatica e da un senso di non farcela più ad affrontare tutto (casa, lavoro, figli, partner).

La mindfulness si propone come uno strumento per uscire dal circolo vizioso dello stress. Salvo essere inserita in una lista di cose-da-fare. In una giornata piena di impegni, può essere concretamente difficile trovare uno spazio per sedersi a meditare per 20-30 minuti. Le cose da fare sono tante, con tragitti di ore  nel traffico cittadino. Attività proprie e degli altri membri della famiglia. Lavori da consegnare.

Meditare può sembrare una perdita di tempo. C’è un’urgenza di stare meglio, ma non si è disposti a cambiare nulla dell’organizzazione della propria giornata.  Pensare di ottenere rapidamente risultati per ridurre lo stress significa aumentare lo stress!  Se ci avviciniamo alla pratica pensando “devo praticare”, presto svilupperemo avversione e non inizieremo mai veramente a meditare.  Per praticare la consapevolezza,  è necessario  sostenere la  nostra motivazione con senso di responsabilità. Scegliamo di coltivare la consapevolezza e il nostro benessere, mettendo un “voglio praticare” al posto di “devo praticare”.

Ciò che funziona è fermarsi, rallentare, e fidarsi della pratica. Darsi il permesso di non dover essere sempre efficienti e produttivi.

Il being mode

Meditare significa semplicemente essere. Non c’è niente da fare. Nessun risultato da ottenere. Solo sedersi ed osservare la mente secondo il being mode di cui parla Kabat-Zinn. Nella modalità dell’essere (being mode) non c’è nessuna attività produttiva. L’unica cosa da fare è essere pienamente presente nel qui ed ora. Le pause che ci ritagliamo per meditare ci educano a lasciar andare le cose da fare, a lasciar andare i problemi e le preoccupazioni.  E anche lasciar andare la fretta, le aspettative persino sugli effetti della pratica!

Questo significa essere disposti a rivedere le proprie priorità. Ci sono cose importanti nelle nostre vite da cui non possiamo prescindere. Ma possiamo decidere quanto tempo dedicargli. E il nostro benessere, che posto ha? E’ importante prendercene cura? Quanto tempo vogliamo dedicare alla cura di noi stessi?

Scrive Corrado Pensa  a proposito della pratica meditativa:

Di solito l’abitudine alla reattività porta a chiedersi quando si cesserà di soffrire. In quel caso abbiamo già rinunciato alla comprensione, perchè dopo aver detto che c’è sofferenza ci chiudiamo subito in un atteggiamento di avversione.

Comprensione vuol dire invece portare la consapevolezza non giudicante sulla sofferenza, al fine di comprendere in maniera viva e immediata le sue cause. E per raggiungere tale scopo abbiamo bisogno di addestramento, e la meditazione è la via principale.

(da Il silenzio tra due onde )

L’unica urgenza che ha senso, nell’approcciare la mindfulness, è quella intesa come importanza del prendersi cura di sè.

Categorie
Mindfulness

Le origini della mindfulness

L’esperienza della mindfulness elaborata da Kabat- Zinn inizia nel 1979. Biologo presso la School of Medicine dell’Università del Massachusetts, Kabat-Zinn sviluppa un protocollo per introdurre la meditazione come intervento di supporto in contesti clinici .

Praticante di yoga e meditazione vipassana, Kabat-Zinn arriva a sviluppare il protocollo MBSR come strumento in contesti clinici, partendo dall’esperienza personale di come la pratica della meditazione influenza la nostra relazione con il dolore, col disagio e con lo stress.

La mindfulness e i protocolli mindfulness-based entrano a far parte della cosiddetta medicina comportamentale o medicina integrativa. A partire dagli anni ’90, il programma MBSR viene adottato in oltre 240 cliniche ed ospedali in USA ed in Nord Europa.  L’ampia diffusione del primo libro divulgativo di Kabat-Zinn, “Vivere momento per momento”, e la partecipazione ad un programma televisivo molto seguito (Healing and the Mind) , rendono il protocollo MBSR uno strumento molto conosciuto ed applicato.

Ma il punto di forza del protocollo, a parte la grande popolarità mass-mediatica, è il fatto che Kabat-Zinn e la sua equipe ne hanno studiato scientificamente l’efficacia sin dall’inizio della sperimentazione. Esistono moltissimi studi scientifici a sostegno dell’efficacia della mindfulness e del protocollo, nella riduzione dello stress e nella capacità di stabilire un contatto diverso col proprio corpo.

I pazienti che soffrono di dolori cronici sono i primi ad entrare nel programma MBSR elaborato da Kabat-Zinn. In una condizione cronica, la pratica della mindfulness si rivela uno strumento efficace per modificare la relazione con ciò che sentiamo e viviamo. La meditazione è quindi un intervento di gestione di autoregolazione dello stress,  che incide significativamente sulla risposta agli eventi. Davanti ad uno stimolo, seppure spiacevole e doloroso, si impara a liberare uno spazio di osservazione, che ci consente di elaborare una risposta consapevole. Diventa così possibile gestire il dolore e la sofferenza, anzichè subire passivamente.

Il protocollo MBSR viene oggi applicato ad un gran numero di patologie mediche: patologie psicosomatiche, cardiache, dolore cronico, fino alle sindromi cliniche di disagio mentale come i disturbi d’ansia , depressione e disturbi alimentari.L’efficacia del protocollo MBSR ne favorisce la diffusione e l’applicazione anche in contesti non clinici: in campo educativo e riabilitativo, in campo organizzativo e sportivo.

Categorie
Mindfulness Recensioni

Riflessioni su: Al di là del pensiero attraverso il pensiero di Segal, Williams, Teasdale

Da alcuni decenni è evidente la significativa influenza che le pratiche basate sulla consapevolezza e sull’accettazione hanno avuto sullo sviluppo delle terapie cognitivo-comportamentali. In questo testo si fa riferimento al rapporto fra la psicologia in ambito congnitivista e l’approccio alle pratiche di meditazione di origine buddhista, chiamate mindfulness nel mondo anglosassone. Il termine “Mindfulness” è stato usato come sinonimo di una varietà di pratiche, ampiamente derivate dal corpus dottrinale e esperienziale di matrice buddhista.
Il termine originario significa consapevolezza (sati, in lingua Pali), e può essere definito come attenzione focalizzata sul momento presente, accettazione consapevole e memoria della propria intenzione. Pur basandosi su qualità umane naturali, la mindfulness comporta anche l’accesso a una modalità di prestare attenzione che è diversa da quella che tipicamente le persone prestano durante il normale flusso della vita quotidiana. Si tratta del metodo insegnato dalla tradizione per entrare in contatto in modo diretto con la propria mente. Essa implica il coltivare e l’accedere a una modalità intenzionale dell’esistenza.
Il termine inglese è entrato nel linguaggio psicologico occidentale in maniera prominente dopo che il dott. Jon Kabat-Zinn ha promosso per primo questo orientamento, introducendo fin dagli anni ‘80 queste pratiche negli ospedali, ma anche nelle carceri e in altri ambienti. La sua figura è assai nota, ha lavorato al MIT con diversi premi Nobel, è una persona accreditata che ha autorevolmente promosso un confronto fra la psicologia occidentale e le tradizioni orientali.
Venendo al tema principale del libro, l’opera di tre illustri scienziati cognitivisti che hanno seguito per anni il lavoro di Kabat-Zinn, affronta il tema della depressione di origine ansiosa, che è oggi una delle sindromi più comuni. Ora, nell’ambito delle prospettive attuali del cognitivismo, influenzate dal movimento della mindfulness, si inizia a ritenere che una delle cause della depressione ansiosa sia il pensiero automatico, ovvero il pensiero ripetitivo e di tipo ansioso. Un’utile pratica terapeutica appare essere quella di distanziarsi da questo tipo di pensieri, nel senso di osservarli come eventi creati dalla mente, anziché come eventi causati dalla realtà. Questo tema è di grande importanza, perché oggi la depressione ansiosa è una delle sindromi più diffuse. Comprendere che all’interno della depressione ansiosa, e soprattutto del suo mantenimento, vi siano i pensieri automatici, e comprendere che la pratica della mindfulness agisce esattamente sui pensieri automatici, riducendoli, è una porta di ingresso a nuove possibilità insperate.
Secondo il cognitivismo classico (ad esempio, T. Beck e A. Ellis), la depressione è causata da convinzioni disfunzionali, per cui l’obiettivo era stato individuato nel cambiamento di queste convinzioni dannose. Oggi, grazie all’ibridazione con le pratiche meditative, ci si rende conto che non è tanto importante cambiare le nostre convinzioni, (queste possono anche essere mantenute), ma l’importante è che non si dia loro eccessivo valore, che le riconosciamo cioè come eventi generati dal nostro pensiero, anziché cadere nell’inganno che siano fenomeni collegati alla realtà. L’idea forte è che il centro della salute mentale è la capacità di disidentificazione: il cambiamento non riguarda tanto le parti interne (pensieri e emozioni), ma piuttosto il rapporto che la nostra capacità razionale e di governo ha con i nostri pensieri e con le nostre emozioni. In questo senso l’adulto che è dentro di noi assume il ruolo principale.
Il ripetuto movimento di distanziamento, attraverso la consapevolezza non discorsiva, da ciò che crediamo reale è il fondamento della cura (pag. 40).
Per comprendere cosa sia la consapevolezza non discorsiva ci riferiamo a un autore, Corrado Pensa, insegnante di meditazione fra i più conosciuti in Italia. Egli afferma che tutti noi siamo soggetti a una fascinazione indiscriminata per l’attività mentale, per il pensiero. Ci sentiamo a posto solo quando la mente pensa molto, non importa cosa, non importa come; è il cosiddetto discorrere mentale. In secondo luogo, ci aspettiamo che la soluzione di tutto venga dal pensare, dal leggere e dal parlare. E’ una specie di fede cieca, di abbandono a un presunto potere magico del pensare e ripensare, una cognizione compulsiva o proliferazione mentale, che si accompagna a forme giudicanti e successive reazioni emozionali di avvicinamento (attaccamento) e di allontanamento (avversione). Siamo davanti a uno dei legami più forti e radicati: l’attaccamento alla concettualizzazione e alla verbalizzazione, la dipendenza dall’incessante discorrere mentale, con l’importante conseguenza di una diffidenza per tutto ciò che esula dalla discorsività. Una delle nostre fondamentali ossessioni è il pensiero discorsivo, mentre la capacità di rapportarsi alla realtà mediante facoltà diverse dai concetti, è considerata appannaggio di bambini e animali.
In realtà, la capacità di investire gli oggetti della consapevolezza di una osservazione silenziosa, benevola e non giudicante, è presente in chiunque e può essere alimentata, malgrado non sia fatto quasi mai.
La pratica assidua della pura consapevolezza (mindfulness, sati) vuole coltivare importanti qualità dell’umana natura. Innanzitutto, la benevolenza incondizionata (metta), che consiste in una relazione amichevole verso se stessi e verso gli altri, in un rapporto non difensivo, non diffidente, verso tutta la realtà. Ciò ha immediate conseguenze etiche, ma tale approccio comportamentale può maturare spontaneamente, senza la forzatura di imperativi morali che si infrangono contro la resistenza delle strutture egoiche del pensiero.
È molto probabile che la qualità dell’attenzione fosse un aspetto integrante della coltivazione di un pensiero razionale, di una prospettiva equilibrata, saggezza e compassione tipici dello stile socratico e della civiltà greca antica. Nel corso del tempo e attraverso le culture, queste note inerenti diversi orientamenti, introducono aspetti, che potrebbero essere approfonditi, della comune identità umana.

Categorie
Mindfulness Recensioni

Riflessioni su: Mindfulness relazionale di Gregory Kramer

In questo testo l’autore, esperto insegnante di meditazione secondo la tradizione buddhista Theravada, sviluppa ampiamente il tema degli aspetti interpersonali delle pratiche meditative secondo la prospettiva della mindfulness, che negli ultimi decenni si sta diffondendo, e che si arricchisce progressivamente di applicazioni in campo clinico e sociale.
Mindfulness è la traduzione inglese del termine sati, che in lingua pali significa consapevolezza. Il termine è stato impiegato per denominare una serie di metodologie e di pratiche, a partire dall’importante protocollo di medicina complementare MBSR di Jon Kabat-Zinn, per la riduzione dello stress.
Ricco di numerosi esempi concreti, il libro segue la matrice degli insegnamenti tradizionali, adattandoli al contesto occidentale, e portando l’attenzione sugli innumerevoli aspetti del vivere quotidiano in relazione, che costituisce il vero banco di prova dell’equilibrio personale.
Le interazioni sociali possono essere viste anche dal punto di vista dell’individuo e delle dinamiche interne, ma la gran parte degli automatismi prodotti da influenza sociale e spinte culturali è meglio evidenziata da un’impostazione relazionale e sistemica.
Al cuore dell’elaborazione di Kramer vi è il cosiddetto insight dialogue (dialogo di consapevolezza) che si esplicita nel prestare attenzione alla relazione interpersonale nel momento presente, con curiosità e accettazione.
E’ comune riconoscere di essere costantemente governati da automatismi e pensieri ricorrenti. Un’utile pratica appare essere quella di distanziarsi da questo tipo di pensieri, nel senso di osservarli come eventi creati dalla mente, senza confonderli con gli eventi reali. Comprendere che all’origine di stati di tipo ansioso, vi siano i pensieri automatici, e che la pratica della mindfulness agisce esattamente sui pensieri automatici, riducendoli, è una porta di ingresso a nuove possibilità di vita e di relazione.
I benefici per l’intero organismo di una regolare e seria applicazione delle forme di attenzione calma e rilassata agli eventi del momento presente, sono ormai largamente riconosciuti ma, generalmente, i momenti formali sono in forma individuale; anche se svolti in gruppo, non sono previste particolari interazioni meditative tra i partecipanti. Confortata da esempi nella storia delle correnti contemplative religiose (soprattutto monastiche), la proposta dell’Insight Dialogue è quella di esplorare le potenzialità di meditare in relazione, interagendo in alcuni momenti sul piano verbale e non verbale. L’addestramento fornisce utili spunti per la vita sociale ordinaria, e contribuisce anche a illuminare aspetti individuali del percorso meditativo, che non avevano avuto occasione di evidenziarsi nella tradizionale pratica solitaria.
Il testo procede seguendo la via delle quattro nobili verità del Buddha: la presenza della sofferenza, l’origine della sofferenza, la cessazione della sofferenza, il sentiero che conduce a tale estinzione. Vi è una sofferenza intra-psichica e personale, ma anche i complicati intrecci delle relazioni sono determinanti nel condizionare la nostra maturazione e sviluppo. Anche in tale universo, la sofferenza che esiste, ha un’origine, può essere fatta cessare e vi è una strada per conseguirlo.
In primo luogo, le relazioni rappresentano un impegnativo banco di prova nel percorso di crescita personale. Per includere e trasformare gli schemi abituali, la pratica assidua della pura consapevolezza nella relazione vuole coltivare importanti qualità umane. Innanzitutto, la benevolenza incondizionata (metta), che consiste in una relazione amichevole verso se stessi e verso gli altri, in un rapporto non difensivo, non diffidente, verso tutta la realtà. Ciò ha immediate conseguenze etiche, ma tale approccio comportamentale può maturare spontaneamente, senza forzature o resistenze da parte delle strutture del pensiero.
In secondo luogo, lo sviluppo dell’insight, dell’intuizione, della chiara comprensione di ciò che c’è, nel mondo e in noi stessi favorisce un’intelligenza, una visione risolutiva spontanea (prajna) che nasce proprio dalla coltivazione assidua di un’attenzione calma e aperta. Tale aspetto può apparire apparentemente contraddittorio, ma è stato sperimentato in molte occasioni, sia nella prospettiva orientale (ad esempio, i koan della tradizione zen), sia in quella occidentale. Ad esempio, il metodo socratico si pone l’obiettivo, attraverso una serrata e acuta analisi logica, di sciogliere le ingessature intellettuali e dare spazio al sorgere intuitivo di una nuova comprensione sulla realtà. (vedi pag. 42 ss).
Concretamente, Kramer suggerisce sei passi: Pausa, Rilassa, Apri, Confida nell’emergere, Ascolta in profondità, Dì la verità. Il punto-chiave è il primo, dare cioè il giusto tempo alla comunicazione e alla relazione, predisponendosi con calma e disponibilità al confronto e al pieno ascolto reciproco, osservando le sensazioni che emergono alla coscienza. La pratica della consapevolezza può essere intesa come una purificazione della percezione: togliere pregiudizi, barriere, filtri, per far emergere quello che c’è.
Nella nostra esperienza, abbiamo tutti sperimentato che la soluzione a un problema può arrivare più facilmente quando siamo rilassati, al mattino, dopo una passeggiata, rispetto a quando si sta rimuginandovi su da troppo tempo. Non si tratta di esperienza (know-how), né di competenza. La benevolenza e l’intelligenza intuitiva rappresentano risorse preziose per operare ed evolvere in modo autentico e responsabile; esse sorgono dalla piena consapevolezza del momento presente, e possono (o forse devono) essere condivise con le altre persone.

Categorie
Formazione

La psicologia tra oriente e occidente

Il tema di questo articolo – gli approcci allo studio della mente e della presenza mentale in Oriente e Occidente – è presente da oltre due decenni nella sfera della cura ampiamente intesa, in numerosi programmi di ricerca nei campi delle scienze umane, delle neuroscienze e delle scienze cognitive. Tali attività, nel momento in cui sono impostate in collegamento con la meditazione, e più in generale con le vie della tradizione, costituiscono un terreno di nuove esperienze e di sviluppo nello studio della mente e dei suoi processi, e nelle forme di prevenzione e di cura olisticamente intese. In effetti, nell’attuale panorama storico e culturale, caratterizzato da una compiuta globalizzazione, i rapporti tra culture diverse sono così intensi da sfumare in una reciproca ibridazione, facendo emergere connessioni molteplici, improbabili fino a pochi decenni or sono.
L’obiettivo è quello di accennare anche alle caratteristiche dell’orientamento teorico-esperienziale alla consapevolezza del momento presente, a come possa influire sui processi mentali e sui vissuti personali di coloro che la ricercano e la praticano, e inoltre investigare sui possibili percorsi di integrazione tra modelli e punti di vista diversi tra loro.
Da alcuni anni mi sono interessato al tema delle tecniche meditative come la meditazione buddhista vipassana, meglio conosciuta come insight meditation, o mindfulness, di cui oggi molto si parla, forse anche in termini di moda. L’interesse per questi argomenti è cresciuto in me nel corso degli anni, alimentato anche da vari contesti di apprendimento e di pratica formale di yoga, meditazione e arti marziali, con finalità prevalentemente formative e culturali, a Napoli e in altre città. Mi affascina pensare che alcune discipline, nate per alleviare la sofferenza, siano praticate da millenni, e che il loro uso sia tenuto tuttora in grande considerazione, come se le attuali mappe psichiche e terapeutiche non esauriscano i bisogni e le potenzialità di cura dell’essere umano.

Oriente e Occidente in psicologia
La psicologia moderna nasce in Occidente nel secolo XIX con una impostazione scientifica, volta a costruire un sistema di pensiero omogeneo e sistematico, sul modello delle scienze fisiche e naturali. Accanto a questa, l’ottica umanistica e sociale ha portato in evidenza il problema di ridurre la coscienza al solo prodotto dell’attività cerebrale, trascurando le implicazioni culturali e sociali nella vita di ogni essere umano.
Gli attuali sviluppi vedono due impostazioni prevalenti:
* le scienze cognitive, di impostazione naturalistica, che indagano i processi mentali di conoscenza, i comportamenti e la comunicazione.
* la clinica, che interviene sul disagio psichico, con una impostazione più aperta alla complessità e alla originalità del quotidiano.
Con l’ibridazione delle culture, entrambe si mostrano oggi più o meno aperte alle tradizioni sapienziali orientali. Queste cosiddette “psicologie tradizionali” nascono come riflessioni razionali sul cammino spirituale, meditativo e contemplativo. Esse studiano ed evidenziano esperienze e riflessioni, in una sorta di empirismo filosofico razionalista, in particolare per il buddhismo. Vengono riportate mappe e descrizioni dinamiche minuziose di un cammino interiore di tipo mistico e ascetico, di cura spirituale, ma non certamente di tipo terapeutico, modernamente inteso. Qui può nascere la fecondità dell’incontro con le psicologie e psicoterapie occidentali, dal quale si può originare un modello più ricco e completo, una nuova e più completa mappa dei processi mentali, che guidi le psicologie e le terapie del futuro. In questa prospettiva, la mente, il pensiero e la coscienza non sono visti come fenomeni interni all’individuo (o alla coppia/diade), ma invece come eventi inter-individuali , collettivi e sociali. Tra le correnti più influenti di tale ricco panorama vanno ricordate la p. Culturale di J. Bruner, la p. Umanistica di A. Maslow, la p. Transpersonale di R. Assagioli, e infine la p. Positiva di M. Seligman.

La Mindfulness
Recentemente, gruppi di ricercatori in varie parti del mondo hanno innovato le modalità tradizionali dell’approccio teorico e clinico di tipo neuro-cognitivo e comportamentale, sperimentando percorsi che si richiamano alle tradizioni esperienziali e alla meditazione di matrice orientale. Tra le numerose vie di ricerca, la meditazione vipassana, o di consapevolezza, è quella più studiata e sperimentata dai ricercatori; nel mondo anglosassone è conosciuta come insight meditation, o mindfulness, contrazione quest’ultima di mindful awareness, termine che traduce la voce sati, (lingua Pali), che denomina uno attributo mentale considerato basilare in tutte le tradizioni del buddhismo, e che può essere tradotto anche con “consapevolezza a mente vuota”, “attenta consapevolezza”, “presenza mentale” (per approfondimenti, cfr. Chiesa, 2011). Esistono numerosi studi sulla descrizione delle tecniche, gli strumenti, le applicazioni terapeutiche, ma poco su come l’utilizzo di tali nuove forme di presenza mentale incidano sui processi di costruzione della propria identità, sull’incapacità ad essere se stessi nella relazione con il il proprio corpo, con il mondo ed accettarsi per quello che si è, e sulle infinite motivazioni sottese a questi comportamenti, come si sviluppi una nuova fisionomia, che caratteristiche assuma etc…
Vi sono in linea di massima due prospettive già molto avviate: 1) la prospettiva delle neuroscienze e delle scienze cognitive (approccio mindsight, di Daniel Siegel), 2) quella delle psicoterapie cognitive orientate alla mindfulness (ad esempio, il noto programma Mindfulness-Based Stress Reduction, legato alla figura di Jon Kabat-Zinn). E (sempre grosso modo) due sono gli orientamenti: un entusiasmo incondizionato e ‘ingenuo’ nei confronti delle nuove tecniche di matrice orientale, o al contrario profezie e condanne (soprattutto nel campo psicologico) per la presunta carenza di validità scientifica evidence-based. In tal modo, mi sembra che si corra il rischio di perdere di vista quello che dovrebbe rappresentare il centro della discussione e cioè l’essere umano, con le sue modalità di acquisizione del reale e di rappresentazione del mondo.
A questo proposito, vi è un ambito che in senso lato può essere definito educativo, con la finalità generale di accompagnare percorsi individuali sulla via della consapevolezza, motivati né dalla cura di patologie, né da ciò che genericamente si definisce come ricerca spirituale (Paul Ekman, programma Cultivating Emotional Balance nell’ambito di Mind and Life). Tendenzialmente sono interessato al suddetto ambito, e alle ipotesi contenute in programmi “educativi”, rivolte a persone sane (o normalmente nevrotiche) alle prese con stress e ansie, e mutuate da tecniche meditative.

Sfide per la cultura Occidentale
Nella società contemporanea vi è un’assenza della consapevolezza della natura psico-spirituale umana. Si osserva da tempo una progressiva atrofizzazione delle capacità di introspezione. Uno dei molti errori culturali di oggi sta nella cosiddetta “religione della scienza”: ciò che non si può misurare non esiste, quando invece l’affermazione corretta è che ciò che non si può misurare non rientra nell’ambito della scienza. La cultura orientale porta in dote una visione profonda dei fondamenti dell’essere e della realtà, insieme a valori antichi e universali.
D’altro canto, l’Occidente è forse giunto a un punto critico in cui ha iniziato a comprendere che il controllo tecnologico sul mondo esterno ha dei limiti, e questi limiti invitano a cercare all’interno di sé. La scienza ha cominciato a fare una riflessione critica e a vedere che la tecnologia va associata a una esplorazione dell’uso che ne facciamo. In questo momento l’Occidente si sente forse di aver troppo trascurato questo aspetto, quindi si ritorna a esplorare la vita interiore. Insieme alla tradizione spirituale, che è quella della mistica cristiana, per esempio, c’è la tradizione psicologica che ha estesamente sondato i processi della mente. Rivolgersi invece all’Oriente, significa addentrarsi in un terreno meno inquinato da una serie di ferite o di condizionamenti, che alcuni di noi sentono di aver ricevuto dall’educazione tradizionale occidentale.
“La verità è una cosa viva che non può essere fermata in una convinzione”. E il non attaccamento di cui parla il Buddha è proprio il lasciare andare tutte le convinzioni e trovarsi quindi di fronte alla vita, alla realtà, al mistero della morte, con una mente che non presume di avere già, di sapere già la risposta. Questo è l’inizio del cammino, e anche la fine, perché, nel momento in cui noi siamo di fronte alla verità senza una qualsiasi opinione, a quel punto forse si manifesta un’altra capacità di conoscere, che chiamano, per esempio, i buddhisti, sapienza, saggezza, che altrimenti non può venire, perché la nostra mente è troppo occupata, affastellata di convinzioni, di concetti. In questo senso, la via della meditazione è intesa come un percorso dove (più che apprendere, accumulare conoscenza) lasciare andare tutto ciò che crediamo di sapere, e cominciare con una mente aperta e fresca a vedere quello che c’è. Infatti, se esiste questa dimensione, è sempre davanti ai nostri occhi, anche se non la vediamo. Il lavoro meditativo viene fatto attraverso uno strumento che è la consapevolezza intuitiva: si aumenta la capacità di essere presenti, qui e ora, alla vita, anziché, come spesso ci accade, perderci nei ricordi del passato e nelle anticipazioni del futuro, senza più accorgerci di dove stiamo, di che cosa stiamo facendo e di chi siamo. Allora la pratica meditativa è proprio la capacità di calmare la mente, al punto che in certi momenti la mente diventa stabile come la fiamma di una candela in una stanza senza vento, per indicare questa caratteristica meditativa, cioè la calma, quel riposo sveglio che ci permette di guardare. Ma l’aspetto più importante è guardare attraverso la calma. Se ho un’acqua agitata che solleva la sabbia, non posso vedere il fondo. Per vedere il fondo devo aspettare che l’acqua si calmi e si depositi la sabbia, ma poi devo guardare. Ecco, questo guardare, che è la consapevolezza, è considerato qualcosa di importantissimo perché ha la capacità di trasformare l’energia anche delle emozioni negative. Infine, la via meditativa è una terza via tra non reprimere e non scaricare le emozioni. Essa consiste nell’osservare le emozioni e nel sentirle in vari modi: fisicamente, in che punto del corpo le sento, osservare che pensieri evocano, lasciarle consapevolmente sorgere-manifestarsi-esaurirsi.

Franco Bruno

Categorie
Mindfulness

Mente estesa e Mindfulness

La pratica della presenza mentale è stata introdotta in forma codificata dal dottor Jon Kabat-Zinn alla fine degli anni 70 del secolo scorso, come protocollo per la riduzione dello stress. Il modello della extended mind (mente estesa) è stato sviluppato da Andy Clark e David Chalmers alla fine degli anni 90. L’uso di artefatti esterni a supporto dei processi cognitivi, costituisce un processo ampliato e, nello stesso tempo, non più scindibile.
Il possibile legame tra l’approccio alla vita mentale introdotto dalla Mindfulness e la prospettiva culturale e psico-sociale della mente estesa, sta nel cercare saggezza e consapevolezza non più solo nelle esperienze individuali ma anche nel mondo in cui conduciamo le nostre esistenze.
Una coscienza non solo interna alla mente, ma comprensiva di tutto ciò che ci circonda: corpo, relazioni, ambiente naturale e culturale.
Questo può essere arricchito enormemente attraverso gli strumenti che le nuove tecnologie digitali in rete mettono a disposizione, inclusa anche la realtà virtuale.