Categorie
Mindfulness

Emozioni e Resilienza

Le emozioni non nascono dal nulla, sono il risultato di come si valutano gli stimoli dell’ambiente in relazione a sé, ed a come si risponde a essi; a loro volta, le risposte condizionano valutazioni e risposte successive, in un processo cognitivo-affettivo-ambientale i cui termini si influenzano reciprocamente (Costantino et. al. 2009). Così come un individuo può giungere a “crearsi” gli eventi stressanti (interni) che conducono a uno stato di disagio, lo stesso può impegnarsi nel dare spazio all’intervento di mediatori che possono portarlo a un cambiamento psicologico. I mediatori psicologici giocano un ruolo fondamentale nel determinare le reazioni allo stress; per questo motivo, ogni intervento che abbia l’obiettivo di rafforzare le competenze di fronte alle situazioni problematiche, condurrà ad incrementare, a fronte di compiti sempre più complessi, componenti cruciali come la capacità di empowerment, il locus of control interno, il livello di auto-efficacia e di capacità di scelta (Malaguti, 2005).
I principali mediatori psicologici possono essere individuati nelle aspirazioni, nei valori, nelle abilità personali, nel senso d’identità stabile. Un’attenzione particolare merita la dimensione di senso, nello specifico il senso di coerenza, considerata quale epicentro di tutto il complesso sistema di risposte psicologiche a disposizione dell’individuo adulto per far fronte agli eventi di vita stressanti (Magrin, M.E., et al., 2006). Come si illustrerà di seguito, molte tra queste risorse interiori di resilienza e di rivisitazione della situazione presente possono essere influenzate positivamente attraverso pratiche che, come la mindfulness, accrescono la capacità autoriflessiva e la risposta consapevole. La sintesi personale tra accettazione e cambiamento è promossa da tecniche che fanno argine all’auto-svalutazione della persona e che, verosimilmente, portano all’acquisizione di nuove capacità di adattamento e di crescita.
Nell’ambito della psicologia contemporanea, a partire della fine del secolo scorso si è sviluppata la prospettiva della psicologia positiva, che mira a incentivare le potenzialità e le risorse personali della persona, in luogo del porre l’attenzione soltanto ai suoi deficit (Seligman, et. al., 2000). Inoltre, un grande rilievo viene dato alle relazioni interpersonali e ai contesti di vita. Essa ha come obiettivo un sano sviluppo personale e, pur non negando le difficoltà, gli ostacoli e le sofferenze, pone l’accento sulle capacità di superarli e sviluppare le parti sane della persona, a tutte le età. Infatti, la psicologia non si deve occupare soltanto del disagio, della sofferenza e del disordine mentale, ma anche di tracciare una mappa esauriente dell’esistenza e delle relazioni umane. La psicologia positiva si propone quindi di focalizzare l’attenzione sulle competenze, le motivazioni, i punti di forza e di eccellenza.
A livello individuale sono considerati aspetti come l’apertura verso il futuro, la flessibilità e la capacità relazionale, la perseveranza, la sensibilità estetica, la saggezza. A livello interpersonale e sociale, sono in gioco processi connessi con l’altruismo, la tolleranza, il senso del dovere e la responsabilità.
Nel filone della psicologia positiva, ma anche in altri approcci come la psicologia umanistica e la psicologia di comunità, negli ultimi anni ha ricevuto crescente attenzione il costrutto di resilienza (dall’inglese resilience), termine mutuato dalla scienza dei materiali, che indica la capacità di resistere allo stress, e insieme di esprimere forme di adattamento funzionali nelle condizioni avverse. Si tratta della capacità delle persone di far fronte in modo soddisfacente alle avversità, e di uscirne rafforzati. Questa competenza è rivolta sia all’integrità personale, sia a contrastare e ridurre gli esiti affettivi ed emotivi in occasione di eventi traumatici (lutti, incidenti gravi) o situazioni difficili e penose, soprattutto se prolungate nel tempo (disabilità, dolori cronici). Conoscere i meccanismi che permettono di prevenire e superare più agevolmente queste difficoltà è un passo nella direzione di poterne far uso quando necessario (Cyrulnik, et al., 2005). Il fronteggiamento e la gestione delle situazioni fa parte dei molteplici compiti di sviluppo di un essere umano, il quale, fin dall’infanzia e soprattutto in momenti cruciali di passaggio, si trova a interagire con richieste di mettere in opera, di volta in volta, condotte e atteggiamenti secondo gli standard personali e sociali della propria cultura.
Il concetto di resilienza si lega a quello di adattabilità attiva, determinata schematicamente dell’interazione tra due ordini di fattori, che si presentano sempre in combinazione tra loro: da un lato, i fattori di rischio, dall’altro i fattori di protezione, presenti entrambi a livello individuale e nell’ambiente. In generale, essa è indicata come una capacità molto variegata, in cui possono essere inquadrate aree di efficacia crescente, (passando da “evitare”, ad “affrontare”, a “superare”), che consentono all’individuo di vivere al meglio delle proprie possibilità le diverse situazioni, di ottimizzare le proprie risorse e di ottenere sostegno dall’interazione sociale e ambientale.
Nel buddhismo classico lo sviluppo della consapevolezza nella propria vita è sostanzialmente associato con uno sviluppo etico, consistente in una “protezione” verso se stessi e poi verso gli altri (in termini di pazienza, rifiuto della violenza, gentilezza e compassione). Tale sviluppo etico, che nasce anche dalla consapevolezza di un comune destino, e quindi di un’intensa interdipendenza tra tutti gli esseri (umani e non solo) è essenziale nell’orientamento della condotta, fino alla distinzione tra piacevole/utile, da un lato, e spiacevole/dannoso, dall’altro. In altre parole, dal punto di vista della tradizione, un certo grado di sviluppo etico è ritenuto necessario per la maturazione di una pratica di mindfulness non sterile, ma feconda per l’esperienza umana (Kramer, 2008).
Devono quindi essere prese in considerazioni alcune importanti pre-condizioni: in accordo con la prospettiva classica, tale concetto non può essere separato da altre qualità come la coltivazione della conoscenza, le emozioni positive e le condotte costruite sulla ricerca etica. In effetti, attenzione e consapevolezza non sono peculiari solo della mindfulness, ma fanno parte di qualunque stato mentale discriminativo: anche un cecchino è attento al momento presente e consapevole del suo stato!
In questo senso gli approcci alla mindfulness sono pratiche di resilienza, forme di allenamento personale a un diverso rapporto con i fenomeni e i contenuti dell’esperienza. In queste esperienze l’obiettivo non è resistere o tentare di riconquistare una mitica forma originaria ma, al contrario, è riuscire a vedere con più chiarezza il divenire di ogni forma prodotta dalla mente nell’interazione con il mondo.
La resilienza, da questo punto di vista, è l’esito di un processo cumulativo generato mediante la familiarità con la mente e i suoi fenomeni. Un processo, governato da una posizione soggettiva che non si sottrae all’incertezza e alla precarietà intrinseca dell’esperienza umana, ma anzi costantemente aperto ad esse. Il punto di partenza per tale risultato è una sorta di umiltà, di disposizione alla vita in cui il soggetto assume in pieno i propri limiti e vuole comprendere le proprie risorse. La pratica della mindfulness come familiarizzazione con le pulsazioni della mente-corpo, può prolungarsi nella vita, al di fuori della pratica, come capacità riflessiva di ristrutturare flessibilmente e con continuità i rapporti con il mondo, in termini sia cognitivi sia somato-emozionali. Una capacità riflessiva che può estendersi ai fatti della vita, anche duri e sgradevoli, perseguendo una resilienza che ci permetta non solo di “rimbalzare” o “galleggiare” rispetto alle avversità, ma soprattutto di saperle comprendere e trasformare.